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Mete dello Spirito II: Lerins

Mete dello Spirito II: Lerins

[Daniele Rocchetti, delegato regionale alla vita cristiana]

Alcuni anni fa, Daniele Rocchetti ha pubblicato un libro “Cercare Dio. Un viaggio per monasteri” (EDB). Ecco un’altra meta, un altro viaggio…

Forse è la storia di Antonio, colui che la tradizione pone a capo del movimento monastico cristiano, a dire, meglio di tanti altri discorsi, il senso e il valore del monachesimo.

Antonio è un uomo che  cerca per tutta la sua lunga vita di stabilirsi in luoghi isolati e inaccessibili ma, ogni volta, viene raggiunto da visitatori e da pellegrini. Quando muore – nel 356, nell’eremo sulle montagne di Afroditopoli – Antonio è circondato, suo malgrado, da una cerchia numerosa di discepoli.

All’inizio, la figura gigantesca di s. ANTONIO Abate

Segregazione e attrattiva, fuga e richiamo: questa pare essere il doppio movimento che rappresenta due tempi di un unico respiro proprio dell’esistenza monastica, quasi a voler segnare, nella carne ma soprattutto nello spirito, una segreta nostalgia, un appello nascosto nel cuore di ogni uomo.

A queste cose penso mentre sono sul battello che, in mezz’ora, porta da Cannes all’isola st. Honorat, a Lerins.  Dopo essere passati accanto all’isola di Santa Margherita di Port Royal – dove storia e leggenda pongono la vicenda della “maschera di ferro” – attracchiamo al piccolo molo. Sono necessari ancora quindici minuti a piedi, seguendo sentieri che separano i vigneti da pini e eucalipti, per arrivare davanti all’ingresso del monastero.

Una presenza antica

L’isola è squallida, piena di uomini che fuggono la luce. Da sé si dicono, con parola greca, “monaci” perché vogliono vivere soli, senza che nessuno li veda. Temono i doni della fortuna, mentre ne paventano i danni: ma che sorta di pazzia furiosa e di stoltezza, che può allignare solo in cervelli stravolti, non essere capaci di accettare le cose buone per paura di possibili mali. 

A scrivere così è Rutilio Namaziano, prefetto di Roma che nel 414 attraversa la Gallia e si reca pure a Lerins. La sua è una testimonianza preziosa perché attesta l’antichissima presenza dei monaci, venuti sull’isola  grazie a Sant’Onorato. Sono gli anni di Martino a Tours, di Ilario a Poitiers, di Cassiano a Marsiglia: anni straordinari nei quali il monachesimo – nato in Oriente nella doppia sorgente di due tradizioni – quella eremitica (di sant’Antonio) e quella cenobitica (di san Pacomio) – giunge, a poco a poco, in Occidente e nella Gallia in particolare.

S. Onorato e le isole di Lérins

L’interesse, nelle nostre terre, fu risvegliato dalla diffusione di testi sui monaci del deserto, dalle migrazioni in Occidente di vescovi rifugiati come Atanasio e di singoli asceti come Cassiano (che scappavano dalle violente controversie teo­logiche che avevano il loro centro ad Alessandria)  e dai racconti portati da pellegrini e viaggiatori.

Onorato – dopo aver regalato le proprietà ai poveri – andò in pellegrinaggio verso l’Oriente. Ma subito dopo il 404 – gli anni del viaggio di Rutilio Namanziano –  Onorato ritornò e fondò un primo monastero su una delle isole di Lérins che, nel corso degli anni, da lui prese il nome. Qui

sembrò rappresentata l’intera gamma delle esperienze del de­serto: c’era un cenobio centrale, sotto l’autorità di un abate, e anche un gruppo di eremitaggi satelliti dove i vecchi che era­no stati formati nella comunità potevano avventurarsi per vi­vere la lotta solitaria del deserto. Con le fondazioni di Marsiglia e di Lérins il monachesimo si impiantò saldamente in Gallia, e continuò a diffondersi per tutto il quinto secolo. Lérins divenne una calamita che attirava alla sua scuola aspiranti monaci e fondatori monastici dalle regioni più settentrionali dell’Europa” (C.H. Lawrence)

Ospitò San Benedetto Biscop e una tradizione sostiene che vi soggiornò perfino san Patrizio…

Il suo ruolo non era limitato sol­tanto alla formazione di asceti: Lérins era anche un fiorente cen­tro di sapere in un mondo in cui la cultura classica stava scom­parendo rapidamente. I maestri che provenivano da questa scuola fornivano artiglieria pesante nella battaglia contro l’eresia pe­lagiana e le altre eresie che contaminavano il pensiero cristiano.

Uomini di cultura e uomini di chiesa, monaci-vescovi

Lérins fu anche un vivaio di monaci-vescovi favorendo, in questo modo, la progressiva assimilazione dell’esperienza monastica nell’alveo ecclesiale che, non dimentichiamolo, fu – per molto tempo – espressione della parte laica della comunità cristiana.

Ci volle del tempo prima che di­venisse normale la pratica di ordinare coloro che entravano in monastero.

Nel nono secolo, il monastero venne attaccato pesantemente dai saraceni che passarono di spada tutti i monaci. Due secoli più tardi venne costruita la torre, luogo di rifugio in caso di attacco, e venne decisa la costruzione del monastero fortificato che ancora oggi si visita. I secoli successivi non furono fecondi come gli inizi: l’instaurarsi della “commenda” indebolì progressivamente Lerins che non ritornò più allo splendore degli inizi.

Il 10 agosto 1787 una bolla papale soppresse “il monastero denominato Abbazia di S.Onorato di Lerins”. Due anni dopo, con la Rivoluzione francese l’isola cambiò nome e venne messa all’asta. Dopo molti anni e molti proprietari, nel 1859, venne acquisita dal vescovo di Frejus che la donò ai Cistercensi dell’Immacolata Concezione, ai quali ancora oggi l’isola appartiene. L’abbazia di Lerins, infatti, è oggi la “casa madre” della Congregazione Cistercense dell’Immacolata Concezione, attualmente presente in tre continenti.

La sentinella nella notte

Ed è proprio un monaco cistercense che mi accoglie. Fr. Pier Maria – questo è il suo nome – è di origine piemontese ed è addetto alla foresteria. L’incontro con lui è molto bello.  

Chi è il monaco? Che senso ha la vita monastica per la chiesa e per il mondo d’oggi? comincio con il chiedergli.

“‘Siamo laici senza importanza’, così ha risposto san Pacomio al vescovo Atanasio e forse qui è la risposta alle tue domande. Come i primi monaci, anche noi oggi ci rendiamo conto che la scelta del monaco non è altro che la scelta del semplice cristiano. Per essere sacerdote o vescovo, bisogna ricevere il sacramento dell’ordine, per essere monaco non occorre un sacramento speciale: solo (ed è già molto!) il Battesimo e la Confermazione, che ogni cristiano riceve. Come a dire, la nostra vocazione è quella del battezzato.

Ma come è possibile definirvi?

“Forse una definizione appropriata è quella di “sentinella”. Hai in mente il passo di Isaia? “Sentinella, quanto resta della notte?” Noi viviamo in attesa del Signore che viene e vorremmo essere pronti a riceverlo. Lo so che questa risposta può non soddisfare quanti cercano una definizione precisa o hanno la necessità di catalogarci a tutti i costi. Però è così.”

Allora – insisto – a cosa serve la vita monastica?

“A niente, assolutamente a niente” mi risponde subito Pier Maria. “Il monaco è l’uomo dell’inutile, del gratuito. Vogliamo testimoniare al mondo – che a tutto dà un prezzo – che vi sono esistenze che, silenziosamente e nella libertà, gridano il primato di Dio. Lo hanno detto molto bene i vescovi italiani, in un documento pubblicato nel 1980 per ricordare S.

Ci vogliono esistenze che gridano silenziosamente il primato di Dio

Benedetto: “…Forse oggi le “teologie”, i discorsi su Dio, per quanto importanti, non bastano più. Ci vogliono esistenze che  gridano silenziosamente il primato di Dio. Ci vogliono uomini che trattano il Signore da Signore, che si spendono nella sua adorazione, che affondano nel suo mistero, sotto  il segno della gratuità e senza umano compenso, per attestare che egli è l’Assoluto. Tale è stata l’esistenza di S. Benedetto e tale è chiamata ad essere quella dei monaci. Ma tale deve essere la vita del cristiano.

E’ questa la testimonianza più urgente da dare, in un mondo in cui il  senso di Dio si oscura e c’è bisogno come non mai di riscoprire il suo volto…”.

Un discorso duro, per noi cristiani, abituati a misurare l’efficacia del credente nella misura del suo impegno e del suo attivismo, anche pastorale…

“Sì, ed è stato duro anche per me gli inizi… Qui con gli altri monaci sto imparando, giorno dopo giorno, che Dio è l’Assoluto. Di lui bisogna fidarsi: ci prende e ci ama dove siamo, con i nostri limiti. Non bisogna sentirsi padroni della vita e delle cose. E ti assicuro che non è facile.

Così come – oltre la retorica che a volte abbonda nei monasteri, e non solo – non sarà facile la vita comunitaria…

La vita di comunità è fatta di carità fraterna, di accettazione, di umiltà, di obbedienza. Tutti i giorni, ventiquattro ore al giorno. Thomas Merton scriveva che “ben pochi sono quelli che si santificano nell’isolamento, ben pochi quelli che giungono alla piena maturità cristiana in una solitudine assoluta. Vivere con altri, imparare a dimenti­care noi stessi cercando di comprendere le lo­ro debolezze e i loro difetti, può aiutarci a diventare dei veri contemplativi: non vi è infatti mezzo migliore per sbarazzarci della freddezza, della durezza e della grossolanità del nostro egoismo radicato, che è un enorme ostaco­lo all’azione dello Spirito Santo e alla luce che questi infonde in noi. Anche l’accettazione co­raggiosa di prove interiori in una solitudine as­soluta non può compensare del tutto l’opera di purificazione che si compie  in noi nell’umiltà e nella pazienza amando gli altri uomini nostri fratelli.”

Custodire il silenzio

Qui siete in uno splendido posto, fuori dal mondo. Eppure davanti a voi, a solo mezz’ora di battello, avete Cannes e le bellezze della Costa Azzurra.. Qual è il senso del vostro rifugiarvi “fuori dal mondo”?

La nostra non vuole essere affatto una fuga dal mondo. Non ho mai pensato di dover disprezzare il mondo per realizzare la mia vocazione!  Comunque e dovunque siamo, noi siamo coinvolti nella storia degli uomini. Bisogna però dire che la solitudine, oltre a permettere l’osservanza della Regola, garantisce l’otium monastico che è il contrario del negotium. Ozio nel senso dei latini, cioè il contrario degli affari, tempo per ciò che è propriamente umano. Certo, stare sull’isola, in solitudine, aiuta a vivere il silenzio che è parte integrante della nostra vita.

Il silenzio più importante, che cerchiamo di coltivare ogni giorno, è il silenzio del cuore

Ma il silenzio non è solo quello esteriore: le parole inutili, la confusione, le chiacchiere. Il silenzio più importante, che cerchiamo di coltivare ogni giorno, è il silenzio del cuore: far tacere l’immaginazione, i ricordi, i pensieri di orgoglio, di rancore… Anche in questo caso, non è stato facile…  Lo scopo è quello di non perdere il filo del dialogo con Dio. Credo che chiunque abbia sperimentato la bellezza del colloquio interiore con Dio, abbia per il silenzio un amore speciale.” 

Ma come si può vivere tutta la vita praticando l’ascesi e la penitenza?

“L’ascesi non va amata per se stessa ma come un’opportunità e una possibilità offerta per imparare ad essere vuoti e capaci di fare spazio a Dio.”

Ora et labora

La vita del monaco a Lerins, mi racconta fr. Pier Maria, è scandita ancora secondo il benedettino invito “Ora et labora”. A vederla dal di fuori sembra una vita dura.

La giornata inizia alle 3,40. Lo chiede Benedetto stesso nel prologo della sua regola: “Alziamoci, dunque, una buona volta, dietro l’incitamento della Scrittura che esclama: “E’ ora di scuotersi dal sonno!” e aprendo gli occhi a quella luce divina ascoltiamo con trepidazione ciò che ci ripete ogni giorno la voce di Dio” L’Ufficio delle Vigilie dura un’oretta al termine della quale i monaci si ritirano nelle loro celle per pregare da soli.

La giornata-tipo del monaco

Vi è poi il tempo della Lectio divina. Alle 7,30 si recita insieme la preghiera delle Lodi; la Messa si tiene alle 11,25 e al termine segue un quarto d’ora di ringraziamento in silenzio. Il lavoro viene svolto tra le 8,15 e le 11,00 al mattino, e dalle 14,45 alle 16,45 nel pomeriggio. I monaci sono impegnati in diverse attività: chi nella cura dei vigneti, chi nell’accoglienza (per soggiornare a Lerins si deve prenotare almeno un anno prima!), chi nella cantina, chi nei servizi all’infermeria e nel refettorio… Qui a St. Onorato – spiega Pier Maria –  noi abbiamo scelto per lo più attività manuali che permettono un maggior silenzio e raccoglimento, che favoriscono l’umiltà”.  

Dopo l’ora Sesta alle 12,30 c’è il pranzo comunitario preso in silenzio, con una lettura spirituale . Vi è poi il tempo di riposo e di nuovo insieme per l’ora Nona alle 14,30. I vespri, alle 17,45, terminano con una lunga preghiera di intercessione per tutte le necessità del mondo. Segue l’adorazione comunitaria e silenziosa davanti al SS.sacramento esposto. Un canto alla Vergine nel chiostro precede il breve pasto serale e la giornata si conclude, alle 20,00, con la recita della Compieta. Una giornata passata, nei tempi di preghiera e di lavoro, per lo più in silenzio, sforzandosi di vivere quanto chiedeva Guglielmo di Thierry: “Tutti in ogni tempo, si applichino a conservare il silenzio delle labbra, contentandosi di parlare con l’affetto del cuore”. Solo  la domenica sera, all’ora del pasto, i monaci si  concedono un tempo di scambio, di condivisione, di distensione. 

Gridare il primato di Dio

Arrivo a Lerins in un giorno festivo e partecipo alla celebrazione eucaristica del mattino (alle 9,50). Molta gente sale sull’isola per la messa domenicale: la chiesa è piena e tanti sono quelli che rimangono in piedi. La liturgia, sobria ed essenziale, segnata da un’eloquenza che attraversa, senza enfasi, parole e silenzi, affascina e aiuta ad entrare nel mistero celebrato. Il canto in polifonia – canto del silenzio che nasce dal silenzio, hanno scritto i medievali – è leggero, non gridato. A celebrare è l’Abate. 

Oggi la comunità di St. Honorat è formata da venticinque monaci, molti dei quali giovani, di diverse nazionalità. L’abate si chiama fr. Vladimir Gaudrat. E’ medico e licenziato in Teologia Dogmatica alla Pontificia Università Gregoriana con una tesi sull’Eucarestia in Baldovino da Ford. Fr.Vladimir è stato in Russia alcuni anni. Lì si è appassionato alla liturgia ortodossa. Tornato a Parigi coltivò la vocazione monastica che lo portò a Lerins. Fine intenditore di musica,  con alcuni monaci ha riformato le melodie e le parti cantate della liturgia e ha introdotto alcune modalità armoniche della liturgia orientale che contribuiscono a rendere ancora più belli i canti.

Semplicità e bellezza si fondono dentro parole e gesti antichi che sanno comunicare anche agli uomini d’oggi. “Ci vogliono esistenze che gridano silenziosamente il primato di Dio” mi dice fr.Pier Maria prima di salutarmi. Durante l’Eucarestia ho l’impressione che a St.Honorat di Lerins il primato di Dio abbia i contorni – netti – del silenzio e dell’armonia.

 

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