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Se c’è resurrezione, c’è un amore più forte della morte

Se c’è resurrezione, c’è un amore più forte della morte

[Daniele Rocchetti, delegato regionale alla vita cristiana]

A diciotto anni ho iniziato a salire a Taizé, la comunità monastica fondata da frère Roger Schutz. Con alcuni amici si partiva il mercoledì della settimana santa e si viveva il triduo sulla collina in Borgogna.

Le danze di pasqua, a Taizé

Ricordo la liturgia del venerdì santo al termine della quale vi era la lunga adorazione notturna davanti alla croce, la liturgia della luce del sabato santo, che illuminava a giorno i grandi tendoni e la Chiesa della Riconciliazione. Ricordo anche la festa della liturgia pasquale che finiva sempre, immancabilmente, con il canone “Jubilate Deo” e le danze sfrenate che facevamo fuori dalla chiesa.

Mi tornavano alla mente le parole della poesia di padre Turoldo “Andrò in giro per le strade zufolando, così, fino a che gli altri dicono: è pazzo!“.

Così mi sembrava la festa di Pasqua vissuta a Taizè: una festa fondata sul Cristo Risorto che dava senso e gioia all’esistenza. Nel corso degli anni ho sperimentato il limite e la fatica, ho fatto i conti con la sofferenza e la morte di persone care. Ma della Pasqua mi sono tenuto il ricordo di quelle danze, la convinzione che è possibile consegnare al Signore anche la più grande debolezza, certo che l’accoglierà.

Il Buio del Calvario. Solo tre ore

Amo molto ciò che don Tonino Bello ha detto della croce e della sua provvisorietà.

“Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio, si fece buio su tutta la terra”. Forse è la frase più scura di tutta la Bibbia. Per me è una delle più luminose. Proprio per quelle riduzioni di orario che stringono, come due paletti invalicabili, il tempo in cui è concesso al buio di infierire sulla terra. Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Solo allora è consentita la sosta sul Golgota. Al di fuori di quell’orario, c’è divieto assoluto di parcheggio. Dopo tre ore, ci sarà la rimozione forzata di tutte le croci. Una permanenza più lunga sarà considerata abusiva anche da Dio.”

Ma come custodire la forza dell’evento pasquale dentro la vita di tutti i giorni? Come possiamo dire, in modo pertinente, dentro questo tempo di guerra, l’annuncio pasquale? Come mostrare che la speranza cristiana non è fuga illusoria dalla realtà?

“Il presepe di Paqua” nonostante guerra, ingiustizie, fame

Paolo Giuntella amava parlare del “presepe di Pasqua”.

La croce è la ragione della nostra speranza. Perché la croce, fiorirà. Quel giorno sarà la grande rivincita di tutti i crocefissi con Gesù sulla croce nel corso dei secoli ed oggi nei nostri giorni. Questo enorme corteo di persone inchiodate sulla Croce di fronte ai nostri occhi che non vogliono vedere. Bambini morti di Aids, di fame, per mancanza di medicine. I cadaveri ammassati lungo il ciglio delle strade del mondo, dispersi nell’aria dalle bombe del mondo, conficcati nelle viscere della terra, i cadaveri di tutte le guerre africane.

I milioni di poveri dei paesi ricchi e opulenti, i milioni di famiglie che vivono tirando la cinghia fino a non farcela più, i licenziati a 40 o 50 anni, i condannati alla servitù del lavoro a tempo determinato. Gli innocenti, ostie viventi tra di noi, vinti dalla malattia, dall’handicap, dalla depressione. Questo immenso popolo di crocefissi è il nostro “presepe” di Pasqua. Il corteo che attende la sua liberazione, la sua consolazione. Il corteo con il quale anche noi “sani” o “vivi” a tempo determinato, ci mischiamo per attingere alla fonte della speranza. La croce che un giorno fiorirà è il nostro pozzo di Giacobbe, la fonte del realismo della vita e dell’utopia dell’Eterno. La roccia che ci permettere di suonare e cantare, di danzare e persino ridere, ai piedi della Croce. La fioritura che ci trasforma la faccia di musoni tristi e moralisti, nel volto solare dei salvati.

Se cosi è, a noi non resta che “vivere partendo dalla Resurrezione: questa è la Pasqua”” (Dietrich Bonhoeffer). Stare con passione nel mondo portando nella carne, e non negli slogan, la differenza cristiana. Perché Dio, nonostante tutto, è dentro questa storia. Lo è nei modi che Lui (e non noi) trova più opportuni (e questo dovrebbe renderci tutti più prudenti nel pretendere di parlare a Suo nome).  Dio è qui, in questo mondo, la sua grande basilica dopo l’incarnazione. Ed è qui – i giorni del Triduo lo raccontano  – non con la logica dell’onnipotenza ma del dono di sé.

“Dio non esaudisce i nostri desideri ma realizza le sue promesse”

Che sia dunque, nonostante il dolore e i lutti di questi anni e di queste settimane, una Pasqua di Resurrezione per tutti. Che non cancella le immagini di Bucha o le grida degli innocenti violati. Ma che sia occasione di un nuovo inizio, di un nuovo sguardo. Perché, ce lo ricordava Dietrich Bonhoeffer dal campo di Tegel, “Dio non esaudisce i nostri desideri ma realizza le sue promesse.” Nonostante tutto. In fondo, se ci pensiamo, se c’è resurrezione, allora c’è un amore più forte della morte.

Come ha scritto padre David Maria Turoldo in Pasqua unica speranza:

Così cerca di prolungarsi il pianto
nella notte, ma già il mattino sorge:
mistero d’amore è la nostra parabola.

Dov’è la vittoria della morte?
Un forte vento toglierà la pietra
anche dal nostro sepolcro.

Il futuro è già presente e viene incontro,
luce adorna come fiori le piaghe,
resurrezione ha nome il nostro giorno.

Auguri!

 

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