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L’Italia e il commercio delle armi

L’Italia e il commercio delle armi

[di Daniele Rocchetti, delegato regionale alla vita cristiana] 

L’ospedale Bambin Gesù rifiuta un contributo della Leonardo, ditta costruttrice ed esportatrice di armi.
Ci sono leggi che limitano, ma vengono aggirate.
I politici che girano con le armi e si giustificano

Giorgio Beretta è da molti anni l’analista italiano più rigoroso e documentato riguardo il commercio internazionale e nazionale di sistemi militari e di armi comuni e come pochi altri nel nostro Paese ha studiato a lungo i rapporti tra finanza e armamenti.

Nel 2022 per Altraeconomia Edizioni ha pubblicato un testo che merita di essere letto: “Il Paese delle armi. Falsi miti, zone grigie e lobby nell’Italia armata”. Si tratta di una rigorosa inchiesta sulle armi nel nostro Paese. Sono almeno 3 milioni – cifre esatte non ci sono – le persone che in Italia posseggono un’arma “comune”, per la difesa personale, l’attività venatoria, il tiro sportivo. Con approssimazione e superficialità tendiamo a chiamarle armi “leggere”, ma l’ex Segretario Generale dell’ONU, Kofi Annan, non esitò a definirle “armi di distruzione di massa”, non meno letali di quelle per uso militare. Armi che uccidono anche quando sono detenute in modo legale, come testimoniato peraltro da continui tragici episodi di cronaca.

Nei giorni scorsi è apparsa la notizia che l’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma ha rifiutato la donazione di un milione e mezzo di euro da parte di Leonardo. Cosa ne pensa?

Come riportato dagli organi di stampa, la decisione sarebbe stata assunta su invito del Vaticano in linea con le numerose dichiarazioni di papa Francesco nei confronti dell’industria militare. Il papa ha ripetutamente invitato tutti i produttori di armi a non inviare armi nei teatri di guerra evidenziando che «La guerra sempre è una sconfitta, tutti perdono. Tutti no, c’è un gruppo che guadagna tanto: i fabbricanti di armi, questi guadagnano bene sopra la morte degli altri». E’ quindi  una scelta di coerenza: non si possono accettare donazioni da aziende, come Leonardo, che vendono armamenti a Paesi belligeranti.    

Che ruolo ricopre  Leonardo nella produzione nazionale e internazionale di armi?

Secondo il SIPRI, l’autorevole istituto di ricerca per la pace di Stoccolma, Leonardo è una delle prime dodici aziende a produzione militare nel mondo. Più dell’83% della produzione di Leonardo riguarda il settore militare e nell’ultimo anno disponibile – il 2021 – riporta vendite di armamenti per quasi 14 miliardi di euro. Leonardo è un’azienda a controllo statale: il Ministero dell’Economia e delle Finanze è il principale azionista. 

Non solo produciamo armi ma le vendiamo con molta disinvoltura a tutto il mondo, spesso aggirando i divieti e le norme della legge 185 del 1990.

La legge 185/1990 pone una serie di divieti molto chiari tra cui il divieto di esportare materiale di armamento «verso Paesi la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione» (Art. 1.6 b) e «verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’Ue o del Consiglio d’Europa» (Art, 1.6 d). Il problema è come viene attuata la verifica di questi divieti da parte di UAMA, l’autorità che rilascia le autorizzazioni all’esportazione militare: in mancanza di un ente giuridico che attesti quelle condizioni, a meno che non vi sia un esplicito embargo, le esportazioni vengono autorizzate anche a Paesi in stato di conflitto armato e i cui governi sono noti per le gravi e reiterate violazioni dei diritti umani.

Si ha l’impressione che in Italia siano forti le lobby delle armi…

E’ una certezza, non un’impressione. Quando si parla di “lobby delle armi” ci si riferisce ad una realtà composita fatta da produttori di armi, politici di riferimento e organi di informazione compiacenti. Circa i produttori il principale gruppo di rappresentanza è l’AIAD, la confederazione delle aziende italiane per l’aerospazio e la difesa, quella di cui era presidente Guido Crosetto prima di diventare ministro della Difesa e il cui presidente oggi è Giuseppe Cossiga, figlio dell’ex Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga. Già questo mostra una serie di “porte girevoli”, in cui esponenti politici passano dalla politica a ruoli apicali in settori collegati alle aziende armiere.

Ma non si tratta, come nei casi sopra citati, solo di esponenti del centrodestra o della destra: non dobbiamo dimenticare Marco Minniti, già Ministro dell’Interno (PD) e oggi presidente di Med-Or”, la maggiore fondazione promossa dall’azienda Leonardo. E l’ex presidente della Camera, Luciano Violante (PD), oggi presidente della Fondazione Leonardo – Civiltà delle Macchine. Ma anche Nicola Latorre (PD), già presidente della Commissione Difesa del Senato e che fino allo scorso novembre è stato presidente dell’Agenzia Industrie Difesa (AID). C’è poi l’ANPAM, l’associazione nazionale dei produttori di armi e munizioni, composta dalle aziende che producono “armi leggere” sia ad uso militare che di tipo comune i cui principali esponenti sono la Fabbrica d’armi Beretta e la Fiocchi che produce munizioni sia di tipo comune che militare. 

Il recente caso Del Mastro – Pozzolo racconta di una parte di Italia che pensa di essere più sicura possedendo armi. Un’Italia che si sente rappresentata soprattutto dalla destra…

E’ vero soprattutto per la parte più sovranista e trumpiana della destra che ha come modello di riferimento gli Stati Uniti e che vorrebbe cambiare la legge per rendere – come spesso dicono – la difesa (con le armi) sempre legittima. Fino a qualche tempo fa il principale esponente era il leader della Lega, Matteo Salvini, che non perdeva occasione per farsi fotografare  con in mano un fucile. I politici di Fratelli d’Italia hanno ormai scalzato quelli della Lega. Oggi il riferimento della lobby delle armi è il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari, stimatissimo dalla Meloni. Non è un caso che è stato il promotore della legge che nel 2021 ha abrogato il divieto di vendita in Italia di armi corte in calibro 9×19 mm parabellum. 

Chi ha venduto la pistola a Pozzolo – Enrico Maccapanni, ex delegato della sicurezza di Fratelli d’Italia a Vercelli –  sostiene che il deputato ha comperato l’arma perché spaventato dopo l’attentato al fondatore di Vox. “Tutti i parlamentari dovrebbero andare in giro armati”, così ha sostenuto. Le pare una cosa normale?

Assolutamente no. Se Pozzolo ha la licenza per detenere e portare un’arma per difesa personale, vuol dire che il prefetto ha ritenuto valide le sue motivazioni. Sarebbe però il caso che l’interessato le rendesse pubbliche, al di là di qualche fumoso riferimento a rischi per le sue posizioni a favore della resistenza in Iran. Perché in questi casi non basta un commento minaccioso ricevuto su un social network, per quello c’è la Polizia Postale. Se invece c’è stata una reale minaccia, ovviamente cambia tutto. Ma dire che tutte le persone che svolgono un’attività politica dentro e fuori i partiti debbano girare armati è folle. Pensiamo a Riccardo Noury, il portavoce di Amnesty International Italia che ogni giorno si batte contro i regimi di mezzo mondo per difendere i diritti umani: cosa dovrebbe fare, girare con un mitra?

 

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