Europe, Italy, Milan, Via Bernardino Luini, 5
+39.02.86.99.56.18
segreteria@aclilombardia.it

Domenica 27 marzo 2022

Domenica 27 marzo 2022

IV domenica di Quaresima

Lc 15,1-3.11-32

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

COMMENTO DI DON GIOVANNI GUSMINI

Se si dovesse selezionare una pagina di Vangelo da affidare ad una capsula del tempo perché rimanga a testimonianza della civiltà cristiana, la parabola del padre misericordioso e dei suoi due figli sarebbe la candidata ideale. Nella dinamica avvincente del suo racconto, nei suoi passaggi sobri ed essenziali, nel profilo scultoreo dei suoi soli tre personaggi, è un insuperabile paradigma dell’identità di Dio e di quella dell’uomo. Dell’uno dipinge il volto con quei tratti che Gesù ha tracciato per farci conoscere il Padre suo, dell’altro svela l’identità filiale e fraterna, abbracciate con un solo colpo d’occhio. Se poteva essere capitato – come talvolta capita ancor oggi – che non si fosse presa sul serio o forse apparsa troppo “buonista” la definizione che Dio aveva dato di sé a Mosè “misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato…”: Es 34,6-7a) e si fosse finiti con l’irrigidirla nel volto tremendo di un Dio moralista e castigamatti, Gesù fissa il ritratto di Dio nel volto del papà di questi due figli. Due figli difficili, nei quali si compendia l’ambivalenza irriducibile che caratterizza l’uomo. Uno solo non sarebbe bastato a rappresentarci tutti, perché li ospitiamo entrambi. Quando assomigliamo al figlio minore, amiamo prendere strade improvvisate, che spesso si rivelano quelle sbagliate, che ci portano lontano da noi stessi e da chi davvero ci ama; siamo dissoluti e spendaccioni, non solo e non tanto con i beni materiali, quanto piuttosto con quei talenti che ci sono stati dati, i quali spesso sciupiamo distrattamente o lasciamo pigramente inerti nel doppiofondo della nostra personalità. Così ci dobbiamo accontentare di nutrirci di cibi che non saziano, che ci lasciano insoddisfatti e affamati più prima. Quando assomigliamo al figlio maggiore, ci scopriamo prigionieri del risentimento o dell’invidia con cui ci rabbuiamo per i successi degli altri, che ci appaiono sempre più rivali che fratelli. Così, piuttosto che prendere parte alla festa della vita, soprattutto quando non è celebrata in nostro onore, ce ne stiamo fuori dal cerchio col muso lungo, sperando che chi è dentro alla fine non si diverta. Un solo aspetto fa la differenza tra questi due figli, e dovrebbe farla anche dentro di noi: chi è davvero il padre per loro. Infatti, per entrambi, almeno all’inizio, è padre-padrone, dal quale aspettarsi eredità o stipendio. Per il figlio maggiore egli rimane così dall’inizio alla fine. Il figlio minore, invece, passa dal vederlo come colui che non gli potrà rifiutare uno stipendio da dipende te, al riconoscerlo finalmente padre. È quando se lo vede correre incontro, con gli occhi consumati dal pianto, con le membra intirizzite dalle lunghe veglie notturne, con il cuore che sobbalza incredulo in un tumulto di gioia. È quando si sente stringersi al suo cuore e vedersi restituita, ancora intatta, la dignità di figlio.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Skip to content