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Domenica 17 ottobre

Domenica 17 ottobre

XXIX domenica del tempo ordinario

Mc 10, 35-45

Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».
Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi cori Giacomo e Giovanni. Allora [Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».]

COMMENTO DI DON ANTONIO AGNELLI, ASSISTENTE SPIRITUALE DELLE ACLI DI CREMONA

Questa pagina del Vangelo di Marco è sicuramente tra quelle che esprimono la logica alternativa al mondo del regno di Dio che viene e che è Gesù stesso, morto e risorto. Egli per primo pur essendo Figlio di Dio fatto uomo, ha scelto la via dell’umiliazione, del rifiuto, del farsi schiavo per salvare l’umanità. Chi vuole seguirlo realmente deve imprimere le sue orme nella propria libertà e inaugurare nella storia, segnata dalla ricerca spasmodica del potere e della fama, la strada del servizio umile e disinteressato, fino al dono di sé.

La manovra dei figli di Zebedéo fa capire come gli apostoli non avevano ancora compreso quale era il progetto di Gesù. La concezione che i due fratelli avevano corrispondeva alle comuni attese del tempo: poter inaugurare un nuovo regno terreno e politico, cacciando l’invasore romano. Gesù in risposta, presenta il suo destino, che diventerà inestricabile da quello dei discepoli, come del servo sofferente che va verso la croce. Egli non è venuto per vincere nella gloria i poteri del mondo ma a immettere in esso la forza per cambiare i cuori e le persone.

Il suo destino di passione è evidenziato da due immagini. La prima è coppa: un’immagine biblica che in questo caso rievoca non la benedizione, bensì i patimenti. La seconda è quella del battesimo. Se notiamo, il verbo da cui deriva il sostantivo, significa immergersi o andare a fondo. Nell’ Antico Testamento si era soliti collegare le sofferenze allo stato di chi si trova sommerso da grande quantità di acqua o nel fondo del mare (Sal 42, 8, 88, 8; Is 43, 2).  Qui battesimo vuole dire quindi essere sopraffatto dal dolore e radicalmente immersi nella sofferenza.

Di fronte alla richiesta dei primi posti nel regno terreno immaginato da Giacomo e Giovanni, vi è la reazione degli altri dieci apostoli che si indignano. Gesù di nuovo ripropone la via della croce come strada del servizio che rovescia i criteri mondani, dove chi comanda schiaccia gli altri. Tra i suoi discepoli però non potrà mai esserci questa logica.

La comunità cristiana non può essere priva di un centro di riferimento e di governo ma il suo compito è totalmente all’opposto di quello che l’autorità ha nella società civile. Qui, Gesù, legittimamente o abusivamente, egli non lo precisa, di fatto appaiono i capi politici ai quali è riconosciuto che tiranneggiano, opprimono, si fanno servire. L’idea evangelica dell’autorità è completamente diversa. Il potere nella chiesa è servizio, diaconia, mettersi in gioco per il bene di tutti, valorizzando i carismi di ciascuno. L’idea di servizio è prettamente teologica. Non indica, sebbene sarebbe già qualcosa, una maniera corretta di esercitare il potere, ma una reale rinuncia ad esso. Il servo non dà ordini nella casa ma li riceve; non utilizza gli altri a suo vantaggio ma utilizza le sue capacità per il bene e la felicità di tutti.

L’ autorità nella comunità cristiana non è autoritarismo, ma autorevolezza e discernimento competente. Le comunità hanno bisogno non solo di regole, bensì di testimonianza, bontà, disponibilità fraterna, capacità di curare, capire, perdonare e pregare perché la misericordia di Dio abbracci tutta l’umanità. Papa Francesco, pur in mezzo a diverse difficoltà tenta di farci capire tutto questo. Facciamo tanta fatica, almeno nelle nostre chiese di vecchia tradizione a comprendere, a metterci in gioco, a cambiare stili di vita e prassi pastorale, a rinnovare le nostre comunità nella logica del servizio autentico, superando ogni forma di clericalismo.

La chiesa è di Dio e del suo Cristo che la guida e sorregge attraverso il suo Spirito, prima che attraverso persone umane. Chiediamo a questo stesso Spirito di verità che ci illumini per vivere nelle nostre comunità un vero stile di servizio, dove chi ha responsabilità sia davvero aperto a tutti e valorizzi i doni di tutti a favore della testimonianza autentica del regno di Dio.

 

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