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Dire in maniera nuova la fede

Dire in maniera nuova la fede

[di Daniele Rocchetti, delegato regionale alla vita cristiana]

Nicea, il primo concilio ecumenico e lo sforzo di dire la fede con il linguaggio della cultura dominante. Il credo riceno-costantinopolitano che recitiamo ogni domenica a messa è nato allora

Nel 2025 faremo memoria dei 1700 anni passati dal primo evento ecumenico della storia della cristianità: il Concilio di Nicea. Fu convocato dall’imperatore Costantino in questa città a 130 chilometri a sud-est di Costantinopoli e gli storici dicono che vi parteciparono trecento vescovi in maggioranza orientali

Il grande sforzo di dire la fede, allora

Nicea passò alla storia certo per la condanna dell’eresia di Ario  – che negava la divinità di Cristo visto come un uomo nato normalmente da donna e poi adottato in modo speciale da Dio, la cui natura divina è unica – ma anche per lo straordinario sforzo di inculturazione che la comunità cristiana ha operato. Già la scuola di Alessandria (quella di Clemente e Origene) e poi i padri della Chiesa del quarto secolo (Atanasio, Basilio, Gregorio di Nazianzo e di Nissa, Agostino) avevano rielaborato ed espresso la dottrina cristiana usando categorie proprie della filosofia, in particolare quella greca.

La sintesi di quel lungo impegno la troviamo espressa nel Credo niceno-costantinopolitano che recitiamo ogni domenica a messa. Un lavoro di “inculturazione”, in un tempo in cui il cristianesimo non era ancora la religione dell’Impero, prezioso e fondamentale e che ha retto per molti secoli. Un confronto serio che ha tradotto il Vangelo in forme, linguaggi e simboli che risultavano comprensibili ai contemporanei e che ha portato, dopo un faticoso e complesso processo culturale e teologico, Nicea e i concili successivi (Efeso nel 431 e Calcedonia nel 451) a proclamare Gesù Cristo “veramente Dio e veramente uomo”.

La grande difficoltà a ricomprenderla, oggi

Eppure ogni volta mi chiedo quanto le formulazione usate siano oggi comprensibili a coloro che le recitano. “Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create”. Potenti verità di fede espressa con formulazioni – homoousios, physis, ousia, hipostasis  – che non riescono più ad essere convincenti per la coscienza credente contemporanea. Non voglio dire che non siano significative, ci mancherebbe. Ma che non parlano più al cristiano che la domenica vive l’esperienza della messa (e, forse, ancora di meno a quanti a messa non ci vanno).

La frattura tra fede e cultura è stata definita da Paolo VI “il dramma della nostra epoca”

Con ragione, padre Bartolomeo Sorge scriveva: “La frattura tra fede e cultura è stata definita da Paolo VI «il dramma della nostra epoca». E, in effetti, il nodo principale oggi da sciogliere nell’evangelizzazione del mondo contemporaneo è il nuovo rapporto tra fede e cultura, che siamo chiamati a instaurare all’interno della società secolarizzata e pluralistica.” In questo rapporto tra fede e cultura – sfida della Chiesa di ogni tempo se vuole rinnovare in modo creativo la fedeltà al Vangelo – la questione del linguaggio è decisiva.

Serve – e, se siamo onesti, lo dobbiamo riconoscere – una nuova riformulazione del messaggio cristiano. Certo

tale riformulazione del messaggio chiede alla comunità ecclesiale, a noi per primi che la rappresentiamo visibilmente, di rivisitare la nostra fede, di non darla più per scontata, di re-imparare a viverla e di re-imparare a dirla. Come potremo essere educatori della fede degli adulti se non ci rieducheremo a credere diversamente, in modo non infantile e fuori dal tempo? (Enzo Biemmi)

Una riformulazione che è un appello alla Chiesa smarrita di oggi. Una Chiesa

forte perché disarmata, credibile perché povera, coraggiosa perché debole, libera perché spoglia di ogni altro potere che non sia quello della parola di Dio da custodire sì fedelmente, ma da incarnare nella storia, affinché sia sale della terra e luce del mondo.” (Sorge).

C’è molto lavoro da fare. Da qualche parte bisognerà cominciare. Al più presto.

 

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