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Terra Santa senza pace

Terra Santa senza pace

[Daniele Rocchetti, delegato regionale alla vita cristiana] 

Veglia di preghiera a Fontanella di Sotto il Monte.
Messaggio di mons. Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme.
21 anni dopo la costruzione del muro di separazione Israele/Palestina

Ieri sera, mercoledì, promossa da molte realtà ecclesiali del territorio bergamasco, presso l’Abbazia di Fontanella si è tenuta una veglia di preghiera in comunione con i cristiani di Betlemme a 19 anni dalla costruzione della prima lastra di cemento del Muro di separazione in Israele/Palestina.

Ha portato il suo contributo, con un video realizzato appositamente, anche il Patriarca di Gerusalemme, mons. Pierbattista Pizzaballa. Questo è il suo intervento trascritto (titoli nostri)

Buonasera, il Signore vi dia pace. 

Voglio unirmi a voi qui da Gerusalemme per la vostra preghiera per la pace in Terrasanta. Una pace molto attesa e voluta, non so se sempre da tutti ricercata, e che comunque resta il bene più prezioso che ci manca e di cui abbiamo estremo bisogno. La vostra preghiera è un momento di grande solidarietà che apprezziamo, di cui abbiamo bisogno e che forse è l’unica risorsa che in questo momento abbiamo.

Divisioni e violenza

Stiamo vivendo momenti difficili dal punto di vista politico e sociale: si va verso un deterioramento delle già quasi inesistenti relazioni tra i due popoli e soprattutto a una frammentazione della vita sociale.

Abbiamo da un lato – ed è la cosa che più preoccupa – una sempre più profonda sfiducia tra le due popolazioni, quella israeliana e palestinese. Ormai, è molto difficile parlare di pace, prospettive, speranza. Sono cose necessarie ma è difficile essere credibili quando si parla di questo proprio a causa della profonda sfiducia che è frutto di tanti fallimenti, tradimenti anche, dei cosiddetti accordi di pace.

I due popoli sono divisi e divise sono al loro interno la comunità israeliana e quella palestinese

Preoccupa anche la divisione all’interno delle due società: di quella israeliana spaccata in due, tra religiosi e laici, non soltanto per motivi partitici ma soprattutto per la divisione sull’idea stessa della identità che lo Stato d’Israele deve avere. Ma anche nella società palestinese: la frammentazione ormai è sempre più evidente non solo fra Gaza e la Cisgiordania ma anche all’interno della Cisgiordania. 

Ecco, questa situazione alimenta una sempre maggiore violenza. In questo periodo abbiamo avuto un numero di morti che ci riporta ai tempi della seconda Intifada e purtroppo temo che la violenza continuerà e aumenterà di molto. Non sarà una nuova Intifada come l’abbiamo vista nelle due precedenti ma sarà comunque una violenza organizzata dai diversi gruppi a causa proprio della frammentazione di cui parlavo e della mancanza di una leadership unitaria da entrambi i lati. 

In questa situazione, i cristiani

Tutto questo è preoccupante e pone alla nostra piccola comunità cristiana tanti problemi e domande: come stare dentro queste situazioni? Cosa deve dire come Chiesa? Abbiamo già parlato tanto ma possiamo ripetere sempre le stesse cose contro l’occupazione, a favore della sicurezza e così via? Siamo in una fase in cui un po’ tutti sentiamo il bisogno di ripensare il linguaggio e ripensare anche il nostro atteggiamento dentro queste vicende molto gravi e difficili. Però non disperiamo.

Ho visto e continuo a vedere – visitando le parrocchie e le realtà del territorio – tantissime associazioni, movimenti, persone che hanno voglia di mettersi in gioco, che non rinunciano a voler credere che si possa fare qualcosa, nei quali la sfiducia non ha attecchito. La preoccupazione principale è proprio questa, che la sfiducia, che la violenza entri dentro il cuore delle persone e diventi un modo di pensare. 

Bisogna mantenere una piccola rete di anticorpi nel territorio

Credo che la prima cosa che dobbiamo fare sia lavorare con tutte le persone possibili – cristiani, ebrei, musulmani – perché si possa mantenere una piccola rete di anticorpi nel territorio che, nonostante tutto, lavorano non per costruire barriere ideologiche o fisiche ma per dare vita a relazioni e in futuro serviranno a ricostruire le prospettive di questo Paese, in modo diverso da quelle del passato. Un futuro con l’idea di due popoli, quello ebraico e palestinese, che non sono destinati ma chiamati dalla Provvidenza a vivere l’uno accanto all’altro nel modo più pacifico e sereno possibile.

La vostra preghiera è dunque molto importante. Celebriamo quest’anno i sessant’anni della Pacem in Terris, che è stato il documento che ha cambiato il modo della Chiesa di stare nel mondo e di parlare della pace e noi oggi, a distanza di allora, dobbiamo essere figli credibili di quel documento, che è stato così importante e che ancora oggi accompagna la vita di molte comunità. Sono sicuro che anche da Bergamo potremo ricevere contributi nella riflessione e soprattutto nella preghiera, perché questa piccola comunità di Terrasanta possa continuare a dare la sua piccola ma bella testimonianza di fede ma soprattutto di speranza. 

Grazie e arrivederci, a presto.

 

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