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Preti che scoppiano. Discussione

Preti che scoppiano. Discussione

[Daniele Rocchetti, delegato regionale alla vita cristiana] 

Otto vocali whatsapp per quasi un’ora complessiva, tredici lettere e trentasette lunghe risposte. 
Non hai mai ho avuto, in poco tempo, una restituzione così ampia di un mio articolo.  

A dire l’urgenza del tema trattato la scorsa settimana e, insieme, mostrare nelle pieghe delle fatiche una vivacità e un desiderio, autentico, di ricerca di vita buona da parte del clero bergamasco.Mi è difficile riassumere la ricchezza e la bellezza di gran parte degli interventi. Ne riporto, a mò di esempio, solo qualcuno. 

“Grazie per aver sdoganato il problema”

Grazie per aver sdoganato il tema. Se mi ascolto quando parlo, non sono poche le volte in cui dico frasi come “Voglio scendere”, “Cerco di sopravvivere alla battaglia”, oppure più di recente “Voglio un lock down”. Sono frasi che dico tra il serio e il faceto: un po’ sono vere e raccontano una quotidianità intensa, molto ricca di relazioni, incontri, esperienze, di fronte a cui però spesso ho la sensazione di essere risucchiato dentro un vortice dove non c’è mai tregua. Però devo riconoscere che ci metto del mio: sono un inguaribile perfezionista che deve avere tutto apposto e tutto sotto controllo e tante ore di lavoro vanno dentro per questo. E non è mai facile tracciare una linea netta tra la dedizione e il bisogno di controllo, tra la cura per gli altri e il mettersi la coscienza apposto. Siamo strutturalmente fatti così, di terra e di cielo, di amore per gli altri mescolato all’amore per sé, ma ci viene sempre più facile dare la colpa a qualcuno (vescovo o parrocchiani), non riconoscendo che c’è anche una parte di noi che va presa in mano e che contribuisce a creare le difficoltà.

” Le nostre 4 parrocchie hanno 15 messe domenicali”

Urge un cambio serio e deciso di mentalità e di azione pastorale. Ma ci frenano i costrutti ereditati dal passato e le paure di perdere quel molto che è solo apparato esteriore di una res interiore che non siamo riusciti a far crescere: la fede in Gesù, la relazione con Lui e la traduzione conseguente della sua autentica testimonianza. La preoccupazione è alta per i preti e per le comunità. Ma non si vuole prendere di petto la questione. Che significa sinodalmente, tutti insieme. Fermiamoci e “facciamo saltare il banco”. Qualcosa in Diocesi si sta muovendo. 

Celebriamo un numero considerevole di funerali, oramai decuplicati rispetto ai battesimi. In ogni caso, si è preti in questo mondo

Come preti stiamo vivendo anche noi quella crisi partecipativa che coinvolge il mondo associativo. Siamo dunque in buona compagnia! E poi stiamo vivendo quello che le nostre suore stanno percependo da oltre trent’anni: riduzione di numeri, attività, chiusura di case e di proposte. L’inverno demografico, meglio l’inferno demografico, è sotto gli occhi di tutti, con una fortissima riduzione delle giovani generazioni e quindi di vivacità, di sogni, di prospettive; celebriamo all’opposto un numero considerevole di funerali, oramai decuplicati rispetto ai battesimi. In ogni caso, si è preti in questo mondo. Che ci piaccia o no. Ma questo è il mondo amato e salvato da Cristo. Questo è il mondo che ha bisogno di Vangelo.

Certamente la situazione non è presa sul serio… Si porta avanti un modello di parrocchia davvero superato, ma per timore, da parte nostra, di preti, di perdere qualcosa, si porta avanti tutto quello che si può, sperperando energie per mantenere in piedi tutto ed evitare polemiche… Vedi a livello di messe, le nostre 4 parrocchie hanno 15 messe domenicali, per altro con sempre meno persone presenti… e la catechesi in tutte e quattro le parrocchie. Temo che si andrà avanti fino ad un grado maggiore di insostenibilità… Mi piace quello che dice Repole, su un nuovo modo di presenza della parrocchia sul territorio… Ma qui, quando avvera? 

“Siamo in mezzo a pagani e non credenti, uomini stupendi e feriti come noi”

Totalmente in sintonia. L’unica mia tristezza è che di fatto siete gli unici a parlarne ad alta voce. La chiesa di Bergamo è una chiesa codina.

Vedo una possibilità grande per le parrocchie: arare il terreno nel quale può trovare spazio il seme fecondo della Parola. Non abbiamo molto da dire, forse meglio così…  Visto certe cose che abbiamo urlato fino a ieri. Non abbiamo molto da dire, ma possiamo ascoltare e incontrare molti, addirittura tutti tra asilo, scuola, CRE e sacramenti.

La Parrocchia ha ancora la possibilità di incontrare molti, non perché vengono in chiesa o perché credenti, ma perché residenti in una certa porzione di terra. Allora fondamentale è il come stiamo accanto alle persone che incontriamo… il come camminiamo per le strade. Fossimo in mezzo a pagani, credenti ma in qualcosa di diverso dal vangelo, forse sarebbe più semplice vivere amando, senza pretese, riconoscenti per le volte in cui possiamo scorgere lo Spirito presente anche lì. Fossimo in mezzo a non credenti… forse sarebbe più semplice. Ma il punto è che siamo in mezzo a pagani e non credenti! Però non è chiaro il confine… forse neppure nel cuore di ognuno di noi. Siamo in mezzo a pagani e non credenti, uomini stupendi e feriti come noi: possiamo camminare insieme, possiamo arare il terreno, possiamo… non con superbia, ma come servizio e missione, con leggerezza e tenerezza.

A volte ho anche io l’impressione che viviamo da rassegnati e quindi cerchiamo di tirare avanti un carrozzone senza sapere dove andare

A volte ho anche io l’impressione che viviamo da rassegnati e quindi cerchiamo di tirare avanti un carrozzone senza sapere dove andare… concordo con chi dice abbiamo bisogno di profezia per dare almeno prospettive… abbiamo bisogno che ci diano strumenti per disbrogliare la matassa burocratica… abbiamo bisogno che ci sia il coraggio di proporre e formare alla vita comune…

Condivido l’articolo. Soprattutto ti dico che la difficoltà che un prete oggi vive è rincorrere “cose” che con il prete hanno poco a che fare… Ti dico solo che per fare la sfilata di carnevale tra permessi di Scia e Suap, SIAE, areu e richieste comunali ho perso un sacco di tempo… inutile? Penso che la fatica sia di sentirsi soli a gestire una burocrazia sempre più invadente… soli, a volte senza strumenti adeguati, nel gestire cose che non competono direttamente al prete… E tante altre cose…

Mi pare che la crisi sia anche una crisi di chiesa che ha rinunciato ad avere passione al proprio interno nella forma del sinodo e del confronto autentico, mi chiedo come sia possibile procedere verso una riforma significativa della struttura dell’organizzazione diocesana senza aver vissuto un momento difficile per il confronto tra tutti battezzati nelle diverse forme con cui sono presenti nelle nostre comunità, nelle parrocchie alle associazioni: credo che una chiesa non discute non fa discutere e non appassiona e di conseguenza trovo anche coerente il disimpegno politico che elezioni regionali Lombardia hanno drammaticamente denunciato.

Non credo che il modello parrocchiale sia superato. Sento più che mai la necessità di un Vangelo vicino alla gente in forme infinite dai giochi, all’ascolto, all’annuncio, al perdere tempo all’essere con all’animare questi territori al vivere con passione la vita con fede e con gusto.

“La questione del clero è una questione seria”

La questione del clero è la questione seria. Sono convinto che il ripensamento del nostro celibato sia necessario dando luogo a diverse forme tra cui la vita comune come custodia e come realizzazione di una vita buona più autentica e fraterna. Credo che una buona riforma diocesana nell’organizzazione e nell’accompagnamento delle comunità cristiane potrebbe sopperire alla solitudine e alla fatica di tanti di noi. Credo che il segreto sia non perdere mai di vista le persone: nella società dei chiunque che tendono a diventare dei nessuno sei salvo quando qualcuno o Qualcuno ti fa sentire uno tra gli altri. 

I componenti delle comunità cristiane del primo secolo, con chi le presiedeva, guardavano coloro che stavano ‘fuori’ come gli sfortunati che ancora non avevano ricevuto l’annuncio, e consideravano sé stessi i privilegiati a trainare l’agile calesse della Chiesa nascente dalle ruote oliata dalla Grazia di Dio e spinta dal fuoco della testimonianza fino al martirio… Ecco, questa ottimistica e un poco ingenua immagine delle prime comunità dovrebbe ispirare maggiormente il nostro essere ‘dentro’ e spingerci a vivere con entusiasmo e gioia la nostra fede, innanzitutto perché è bella!

Sogno una Chiesa-carretta capace di muoversi con agilità in un mondo pagano per la semplice voglia di esserci e di starci

E forse è giunto il momento – oltre che oliare e ingrassare per bene le ruote con la suddetta Grazia che continua a scorrere copiosa – anche di scaricare, senza troppe remore, qualche peso di troppo: strutture murarie e di tradizioni, almeno quelle che palesemente non funzionano più. Resterà una carretta, non dovrà tornare ad essere calesse; non si torna indietro nella storia, nemmeno per prendere la rincorsa. Ma sogno una carretta capace di muoversi con agilità in un mondo pagano per la semplice voglia di esserci e di starci. In fondo è bello parlare con chi la pensa diversamente, è molto arricchente.

A volte mi sembra che questa fatica reciproca non aiuta a pensare a nuovi modelli di parrocchia. Ci si salva un poco dove ci sono figure moderne, carismatiche che in apparenza sembrano dare in mano tutto ai laici, in realtà hanno in mano tutto loro. Eppure quando il carisma finisce con il prete che viene spostato da un’altra parte tutto svanisce.

La vita comune dei preti sta nelle buone intenzioni, ma poi non si fa. Io ho avuto la fortuna di sperimentarla. Invece spesso noi riduciamo il tutto a qualche pranzo insieme, la riunione del mercoledì e poco altro. Può andare questa modalità se è dichiarata. Troppe volte riscontro invece buone intenzioni e poi che fatica anche solo stare insieme per un pranzo. Ci sono sempre mille cose da fare. 

“Nella mia esperienza incontro tanta verità e umanità”

Non sono d’accordo sull’accenno alla “patina di silenzio e le complici omissioni”, senza ulteriore sviluppo, in coda al pensiero. Come se quella fosse in realtà la sintesi della questione e lo scopo della riflessione, più che provare a scavare insieme le questioni. La mia esperienza è certo anche di tante fatiche della Chiesa. Tutta tra l’altro. Di chi è autorità. Di chi da prete ha ricevuto una formazione che oggi gli offre meno strumenti per affrontare una realtà mutata, un ministero con aspettative nuove e solitudine nuova.

E anche fatiche da parte di comunità che a volte schiacciano o non comprendono, o anche semplicemente non hanno le risorse e la forza per stare più vicini ai loro preti anche a livello di corresponsabilità pastorale e amministrativa. Sono questioni grosse. Eppure, nella mia esperienza – sarò privilegiato – incontro tanta verità e umanità. Da preti e da laici e perfino da vescovi. Nella comune sfida che si riflette in modo singolare sul ministero e l’equilibrio di chi da uomo prova ad essere prete, come pure sulla vita e l’equilibrio di molti altri ruoli ed esistenze messe alla prova dal cambio dei tempi. Eppure, dicevo, ho un’esperienza molto più positiva. Tra preti ci si ascolta. Ci sono laici, e famiglie, e coppie, molto vicine. Che capiscono benissimo le questioni in gioco. Che sostengono. E anche relativizzano alcune questioni.

Ho l’impressione che l’istinto della gerarchia sia quello di ritirarsi la coperta sulla testa e rimettersi a dormire, nella speranza che i problemi svaniscano da soli

Non sono molto ottimista… Mi pare che i problemi siano talmente tanti e le soluzioni talmente impegnative che, alla fine, l’istinto della gerarchia sia quello di ritirarsi la coperta sulla testa e rimettersi a dormire, nella speranza che i problemi svaniscano da soli

Il nuovo volto dello spazio ecclesiale è quello della chiesa e della famiglia (chiesa domestica). E’ quello spazio che accoglie nella chiesa le domande del laico (anche non credente) e che accoglie le domande del prete nella famiglia per offrire relazioni di crescita della propria vocazione. Spazi di condivisione, di confronto, di riposo reciproci per trovare risposte. Spazi di completamento per dirsi come si vive oggi, qui ed ora, da preti, da laici, da donne, da uomini, per andare avanti convergendo verso il centro: il Gesù del Vangelo.

“Due proposte…”

Due proposte. La prima: uscire dall’ansia del calendario, del tutto programmato. Tanto poi gli impegni si intrecciano sempre e succede un sacco di volte di ritrovarti con due impegni nella stessa serata e allora devi scegliere uno dei due oppure stare un po’ su un tavolo e poi su altro. In questo senso uscire anche dalla programmazione pastorale intesa come progettazioni scandita per obiettivi, modi, tempi, verifiche e via dicendo. Il sinodo ci insegna che è il tempo dell’ascolto di prossimità di tutti. Il vero progetto pastorale è oggi creare le condizioni per luoghi di incontro, pensati  non immediatamente per fare, ma per ascoltarci. Non può essere questo lo scopo di un oratori.

Faccio un esempio: tante marce per la pace, ma chi si sofferma a costruire reti di pace effettive dove si cercano di superare le polarizzazioni? La seconda: avviare con serietà per i sacerdoti dei percorsi non solo formativi, ma di serio discernimento personale per verificare se esistono le condizioni che stanno dentro la chiesa di Bergamo e al servizio della chiesa di esperienze che magari sono un po’ al di fuori della parrocchia, ma che incrociano la gente in modo diverso dalla classica parrocchia.

A questi percorsi di discernimento pongo tre condizioni. La serietà del cammino e non l’originalità delle cose da fare. La conclusione di un cammino di discernimento, che non deve durare all’infinito. La consapevolezza che siamo al servizio della gente e non siamo persone isolate in macchinose invenzioni pastorali. Non al servizio della gente, ma con la gente nel loro vissuto quotidiano.

Sento questa fatica fortissima che c’è tra noi preti e tra la chiesa di Bergamo che non si fa carico di questa fatica. Stiamo davvero toccando il fondo. Il clima è molto demotivato, stanco

Sento questa fatica fortissima che c’è tra noi preti e tra la chiesa di Bergamo che non si fa carico di questa fatica. Stiamo davvero toccando il fondo. Il clima è molto demotivato, stanco. Non direi neanche arrabbiato piuttosto sconsolato, passivamente rassegnato. E’ vero che il modello della parrocchia non funziona più.

Dobbiamo ritornare ad una prassi pastorale che non ha più – come da Trento in poi – la centratura sul sacramento. Dobbiamo tornare alla comunità apostolica: l’annuncio della Parola, la conversione che ne deriva quando questa viene accolta nella libertà, l’appartenenza alla comunità cristiana e poi solo allora il valore dei sacramenti. Questa prassi oggi è totalmente stravolta. Siamo ancora impostati in una prassi pastorale che prevede uno a molti mentre la nuova svolta è la cura della singolarità delle persone, il rapporto uno a uno. Bisogna vivere da preti il primato della relazione nell’annuncio. E poi abbiamo dimenticato cosa significa annunciare il vangelo. Diamo servizi in abbondanza ma non portiamo più all’incontro con Gesù, l’unico evento dirompente che può cambiare la vita degli uomini.

Il prete, la sua “pasta mana”, il seminario

Avrei analizzato con più profondità le questioni relative alla crisi del sacerdote che non è solo l’eccesso di impegni parrocchiali e il rischio di bornaut.  E va detto! C’entrano l’affettività e la sessualità. C’entra la “pasta umana” che attira oggi il seminario. Molti formatori dicono che è proprio la pasta umana un po’  povera. Non attira le menti più sveglie, le persone realizzate anche nel mondo e le persone più appassionate. E poi c’è un problema di pasta umana generazionale che accomuna tutti. I figli del benessere (in generale) sono meno tenaci, meno capaci di sopportare fatica e frustrazione, meno perseveranti e fedeli al quotidiano. E’ un dato antropologico-sociologico. Inoltre, la cultura dell’apparenza e del dover emergere condiziona l’uomo moderno.

Tanti sacerdoti fanno fatica nel dovere quotidiano e vorrebbero fare i sacerdoti freelance: fare conferenze, youtuber, organizzare esperienze, senza sentirsi vincolati ai doveri quotidiani della parrocchia

C’è uno studio in cui si dice che tanti sacerdoti fanno fatica nel dovere quotidiano e vorrebbero fare i sacerdoti freelance: fare conferenze, youtuber, organizzare esperienze, senza sentirsi vincolati ai doveri quotidiani della parrocchia.  In questo senso anche l’ego personale può avere il sopravvento in tante modalità di essere sacerdote (non solo per la quantità di impegni)  ed anche essere un motivo latente di abbandono in un tempo in cui il sacerdote non ha più quel ruolo sociale così significativo come un po’ di anni fa e che allora “non conviene” più farlo. E ti assicuro che se per molti il problema è l’eccesso di impegni in una organizzazione clericale in cui si supplisce alla mancanza di preti aggiungendo altre parrocchie di competenza a chi ne ha già una, è altrettanto vero che ci sono sacerdoti che sono molto bravi a scansare le fatiche, a limitare al minimo l’impegno, lo stress e la fatica. Anche questo va detto. E anche questo è fonte di crisi della Chiesa in cui i giovani non riconoscono nè senso e nè qualità nel sacerdote.

Chiudo con due pensieri. A me fa sempre molto bene guardare alle famiglie. Penso a mia sorella che ha tre figli, lavora, segue due suoceri ammalati che a loro volta hanno in casa un figlio disabile; segue i miei genitori che non sono in formissima e che si appoggiano su di lei per le varie visite, dà una mano in parrocchia e non si lamenta mai.  E mi fa molto bene quando vado a portare la comunione una volta ogni 15 giorni a una signora inferma che è sempre sul divano, che non riesce quasi più a camminare e che mi accoglie sempre col sorriso.Questo non risolve i miei problemi, non diminuisce la pressione delle mie giornate incasinate, ma mi aiuta a ridimensionarmi, a non pensarmi il centro del mondo, a non amplificare la sindrome da salvatore del mondo che spesso mi cucio addosso. 

A livello più di Chiesa condivido la necessità che a questione della vita del prete vada presa in mano in modo più serio e strutturato. Qualche anno fa era girata voce che forse si sarebbe fatto un sinodo apposito su questo tema, ma poi tutto è finito nel nulla. I segnali di disagio ci sono, nessuno sa bene da che parte cominciare, ma non per questo allora si può concludere che va bene andare avanti così.

 

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