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Memoria di Claudio Salvetti, un giusto

Memoria di Claudio Salvetti, un giusto

[Daniele Rocchetti, delegato regionale alla vita cristiana]

Nelle prossime settimane faremo memoria di Claudio Salvetti morto il 20 gennaio dello scorso anno. Per me e per tantissimi altri un amico, un maestro, un compagno di strada

E’ stato il mio animatore quando ero un adolescente inquieto. Abbiamo fatto tanti viaggi insieme (da Assisi a Taizè, da Parigi a Mauthausen). Abbiamo condiviso impegni (nell’animazione e nell’attenzione a quello che un tempo chiamavamo “Terzo Mondo”) e passioni (in particolare per la comunità cristiana).  Credo sia per lui che ho studiato Teologia (entrambi da laici, nel corso istituzionale riservato ai futuri sacerdoti) e lui mi ha passato i libri su cui sono cresciuto.

Claudio, Fiorenza figli e la prova dura della malattia

Con Renata e molti amici ho fatto il tifo per Fiorenza quando lo ha “rincorso” per molti anni. E Fiorenza, la sua sposa, è stato davvero l’altro suo movimento: insieme hanno generato vita e cura, figlie proprie e figli accolti, in una casa aperta e accogliente. Sulla porta un piccolo cartello porta scritto: “Non c’è nessuno, anche nelle periferie più abbandonate del mondo, che Dio non si preoccupi di portare a casa”.

Anche nel tempo faticoso della malattia – prima di lei e poi di lui – hanno continuato a dirci che la vita è avvolta dalla grazia e hanno sostenuto la nostra debole speranza. Il giorno del suo compleanno ci aveva confidato di aver sentito in modo acuto la malattia che stava vivendo come “prova”. Un dubbio insistente lo ha attraversato: potrebbe forse essere l’ultimo?

Ha scritto che durante la festa cercava il volto dei suoi cari: quello di Fiorenza, segnato dalla malattia ma sempre aperto e generoso; quello splendente e bello delle figlie; quello dolcissimo della piccola Maria e quello di Matteo, ancora bambino in un corpo che sta crescendo. E si è chiesto: “Che ne sarà di loro? Usciranno definitivamente dalla mia vita? Resterà il nulla? È la morte che porta la paura, il sospetto, il risentimento? I “nemici” continuamente evocati nel Salmi non sono forse voce di questo sospetto: la vita è un inganno quando la malattia ti assale? La vita merita ancora di essere vissuta e voluta? Dov’è Dio, fedele e misericordioso?

Affidarsi, nonostante il deserto

Le domande di Claudio erano domande da non schivare, con cui fare i conti. Eppure quel giorno Claudio ci disse anche che, nonostante e insieme alla prova del deserto della malattia, bisognava affidarsi. Non a caso, la lettera inviata per il compleanno terminava così:

Non metterci alla prova, Signore! Il vostro ricordo pieno di affetto voleva forse incoraggiarmi a tenere ferma la fiducia nella vita? A credere che a sostegno della vita, nonostante e insieme alla “prova” del deserto della malattia, ci sia una tenerezza immensa, la Divina Tenerezza che tutto avvolge? A riconoscere, quindi, che il compleanno, anche nel tempo di malattia, può diventare memoria grata e stupita degli inizi della vita! Memoria della lunga vita che mi è stata data! Tempo di riconoscenza e di grazia per i molti benefici ricevuti!

In un testo mandato agli amici negli ultimi mesi scriveva:

Quando stai bene e nella vita, tutto sommato, non ti manca nulla, facile è ritenere che tutto sia ovvio, scontato e forse do­vuto. Quando, invece, la malattia ti spoglia e ti porta all’essenziale, quando at­traversi il deserto, riconosci che la vita non è ovvia, non va da sé, non basta a se stessa e quel poco che ti resta diventa pre­zioso, diventa un dono, come fosse la prima volta che ti acca­de.

Ecco, ogni giorno ti appare come dono e grazia, nello stu­pore dell’origine. Il tuo sguar­do sulle cose, allora, non è più lo stesso e senti, in ogni nuova giornata, di essere anticipato da tante meraviglie che ren­dono buono e promettente lo svolgersi dei giorni: il sonno e il riposo, una giornata lumino­sa, un buon cibo, un buon libro e poi i legami: la cura affettuo­sa dei tuoi cari, la compagnia preziosa degli amici… Allora ti sale dal cuore un’invocazione, un sentimento caldo e profon­do di gratitudine.

È il presagio di una presenza che ti avvolge: don Sergio, negli ultimi suoi anni, la chiamava la “divina dolcezza”: è la grazia, noi sia­mo presi in braccio, come all’i­nizio della vita. Questa è la se­greta forza che ti può sostenere nella traversata… E, alla fine, puoi intuire che questa sola è necessaria per non cadere, per non lasciarti inghiottire…

Claudio uomo di cultura e di servizio

Claudio è stato un uomo buono e retto, colto, di rara finezza intellettuale, appassionato della vita e del Vangelo. Un teologo e catecheta, un credente che pur vedendo le rughe della Chiesa l’ha sempre amata e con intelligenza e generosità si è messo a servizio in svariati modi. Gli sono riconoscenti i tantissimi studenti che ha incontrato nei lunghi anni di insegnamento. Lo ricordano i molti che lo hanno avvicinato alla Buona Stampa. Lo ricordano anche  i  catechisti e gli animatori che hanno potuto apprezzare  la sua competenza mai esibita in modo ostentato, la sua passione per il bello e per il vero. La Fiorenza diceva che era sempre perso nei libri, anche quando si trattava di fare qualcosa in casa o di preparare le valigie per le vacanze. Ma la sua cultura teologica e la sua passione pastorale hanno aiutato molti a sentirsi Chiesa e Chiesa del Concilio.

Il molto che resta di lui

E’ passato un anno. Fiorenza sta ancora lottando con la sua malattia, la piccola Maria ha compiuto nei giorni scorsi dieci anni (ed è un miracolo vedere i progressi fatti!). Daniela, Benedetta e Caterina continuano i loro studi. Il vuoto della  mancanza di Claudio non è stato cancellato.

Eppure, direbbe lui, ne sono convinto, nulla del bene seminato è andato perso. Resta, in tanti che lo hanno conosciuto, la convinzione profonda che lo accompagnato per tutta la vita: la fede chiede di prendere sul serio la vicenda umana, con le sue domande e i suoi problemi. Si deve intrecciare un dialogo profondo con tanti non credenti. Capace di stare sulla soglia. E  cercare di comprendere, non nascondendosi mai di fronte ai problemi, lanciando ponti senza rinunciare alla fedeltà ai valori continuamente riscritti e ridetti con intelligenza. Custodire la tenerezza come chiave di accoglienza dell’uomo del nostro tempo.

Claudio è stato un credente che ha fatto dell’umano il laboratorio di verifica della sua fede. Che ha insegnato che contano i legami, conta averne cura. Che Dio è Padre nella misura in cui saremo capaci – veramente! – di essere fratelli.

Che la sua memoria sia di benedizione.

 

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