La forza della pace

Articolo di Pierangelo Milesi – Vicepresidente con delega Rete Territoriale e Pace delle Acli nazionali APS, ripreso da INTERRIS.IT a cura di Christian Cabello
Promuovere una cultura della pace, oggi più che mai, significa innanzitutto formare le coscienze, generare visioni e ispirare scelte quotidiane. Nelle scuole, questo si traduce in un’educazione orientata al valore della cittadinanza attiva, della nonviolenza, del dialogo interculturale e interreligioso. Perché la pace non è solo l’assenza di guerra, ma soprattutto la costruzione di relazioni giuste, solidali e inclusive. Un ruolo decisivo in questo processo educativo spetta al corpo docente, che, insieme alle famiglie, deve essere formato in modo adeguato, con strumenti pedagogici coerenti e aggiornati. I media, a loro volta, dovrebbero abbracciare quella che potremmo chiamare un’“ecologia dell’informazione”: raccontare esperienze di pace, dare voce a chi costruisce ponti invece di alzare muri. Occorre superare la logica binaria della paura e del nemico, scegliendo di narrare il “noi”, una prospettiva capace di creare autentici spazi di pace. Anche le istituzioni, oggi spesso percepite come distanti dalla voce dei popoli, possono e devono riappropriarsi di un linguaggio e di un agire non aggressivo. Possono diventare testimoni credibili di percorsi di mediazione e custodi di una visione politica che non cede alla logica della sopraffazione. Perché la pace è contagiosa, a patto che qualcuno cominci a diffonderla.
Fare della pace una politica pubblica non è un’illusione: richiede coraggio, visione e concretezza. Proprio come hanno fatto i padri fondatori dell’Unione Europea, che, all’indomani della Seconda guerra mondiale, seppero immaginare e realizzare un progetto di pace fino ad allora inimmaginabile. La pace, dunque, non è un’utopia, ma una responsabilità istituzionale che va alimentata con investimenti reali: nell’educazione, nella cooperazione internazionale, nel servizio civile universale e, soprattutto, nella diplomazia tra popoli e Stati. Eppure, oggi sembra prevalere un’altra direzione: si scelgono investimenti dissennati in risposta a una percezione di insicurezza che spesso si rivela distorta. Aumentare la spesa militare dei Paesi Nato fino al 5% del Pil significa sottrarre risorse alla mediazione, alla prevenzione dei conflitti e alla giustizia sociale. Occorre invece promuovere una “finanza della pace”, capace di mettere al centro la solidarietà tra le nazioni e la dignità delle persone. Perché la pace è e deve essere riconosciuta come un diritto e un dovere universale. Il compianto Papa Francesco ci ha più volte ricordato che la guerra è “una sconfitta della politica”. Per questo, serve una politica nuova, che anteponga l’umano al potere, la relazione alla competizione, il futuro alla paura.
In quest’ottica, l’istituzione di un Ministero della Pace, anche solo sul piano simbolico, rappresenterebbe un vero cambio di paradigma culturale. Ma potrebbe anche avere ricadute concrete: dare corpo istituzionale a ciò che oggi è affidato alla buona volontà dei singoli. Significherebbe affermare che la pace non è solo un valore etico, ma una strategia nazionale, una scelta di civiltà, un dovere verso le giovani generazioni. Le Acli sostengono questa proposta, lanciata dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, nella convinzione che un simile ministero potrebbe promuovere politiche efficaci di prevenzione dei conflitti, programmi educativi e culturali, sostegno alla diplomazia sociale, monitoraggio delle politiche di disarmo e valorizzazione del servizio civile come leva di cittadinanza e nonviolenza. Tutto questo aiuterebbe a costruire una nuova narrazione della sicurezza, fondata non sulla moltiplicazione delle armi, ma sul rafforzamento della giustizia, della cooperazione e dell’inclusione. Questi valori possono essere il seme di un futuro diverso. Credere nella pace è un atto di responsabilità e di speranza. Ed è questa speranza, concreta, coraggiosa e condivisa, che deve essere la forza della politica.