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Don’t look up. Il futuro del pianeta

Don’t look up. Il futuro del pianeta

[Daniele Rocchetti, delegato regionale alla vita cristiana]

Come molti altri, ho visto anch’io Don’t look up, il film Netflix diretto da Adam McKay con Leonardo DiCaprio, Jennifer Lawrence e Meryl Streep

La trama è presto raccontata: un astronomo, il professor Randall Mindy, e una sua dottoranda, Kate Dibiasky,  giungono alla scoperta che una  gigantesca cometa grande come l’Everest, entrata all’interno del sistema solare sia in rotta di collisione verso la Terra. Che sarà raggiunta e distrutta entro sei mesi. Dovrebbe essere la notizia del secolo. Eppure non c’è verso che i due scienziati riescano ad attirare l’attenzione sull’evento catastrofico. Fanno spallucce la Casa Bianca, i giornalisti e l’opinione pubblica, concentrata a “twittare” su altro.

Questo scetticismo è racchiuso nella frase del titolo “Don’t look up”, cioè “Non guardate su” che viene ripetuta spesso nel film, perché è lo slogan utilizzato dalla presidente degli Stati Uniti Janie Orlean nella sua campagna contro le convinzioni dei due scienziati. Il risultato è la fine del più umano degli istinti, quello di sopravvivenza e, con esso, la distruzione dell’intero pianeta.

“Inequivocabile”, “Irreversibile”

Potremmo dire lo stesso sull’atteggiamento che abbiamo riguardo la crisi ambientale.  Da quanto tempo si susseguono studi e ricerche che, in modo inequivocabile, mostrano come siamo posti su un piano inclinato che porterà al collasso il nostro mondo.

In un recente bell’articolo, Diego Colombo, giornalista de L’Eco molto attento e competente su questi temi, a proposito dell’ultimo rapporto IPCC scriveva:

L’avverbio «inequivocabilmente» era stato la parola chiave, nell’agosto scorso, della prima parte del nuovo rapporto sui cambiamenti climatici: il riscaldamento globale, con i connessi eventi meteorologici estremi, è provocato «inequivocabilmente» dalle emissioni umane di gas serra. La parola chiave della seconda parte del rapporto è «irreversibili»: molti impatti innescati dal riscaldamento globale di origine antropica sono «irreversibili».

Le oltre tremila pagine del rapporto «Cambiamenti climatici 2022: impatti, adattamento e vulnerabilità», presentato il 28 febbraio, sono basate su oltre 34mila articoli scientifici, sono la seconda parte delle tre del «Sesto Rapporto di valutazione», che sarà completato entro quest’anno. Sono stilate da 270 scienziati esperti del settore radunati nell’Ipcc, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, e sono state approvate dai 195 Paesi dell’Onu. Gli scienziati dell’Ipcc dimostrano come il riscaldamento globale di 1,1 gradi, raggiunto a causa delle emissioni di gas serra, abbia già sconvolto gli equilibri naturali e sia già critico per «uno sviluppo resiliente al clima» e contenere i disastri.

Il nostro pianeta soffre

Recentemente un articolo riportava le parole del delegato dell’Ucraina alla Conferenza internazionale della biodiversità. Vi si affermava che questa guerra è anche un attacco all’ambiente e una distruzione di habitat senza precedenti. Un terzo delle aree protette sono state cancellate dai cingoli dei carri armati. Metà dei siti di protezione dell’avifauna sono stati distrutti. Gli ambienti costieri devastati, le pianure agricole sconvolte.

Ma il discorso non riguarda solo l’Ucraina e la sessantina di Paesi ancora in guerra. Il nostro pianeta soffre. Lo vediamo da situazioni apparentemente lontane, come la deforestazione record dell’Amazzonia o il continuo aumento dei “migranti ambientali”, temi raccontati dettagliatamente anch’essi nell’ultimo report IPCC. Ed è visibile, sempre più, anche nei nostri territori: alla secca dei nostri fiumi, ai ghiacciai sempre più ristretti delle Alpi, ai rischi idrogeologici che, oramai a ciclo continuo, affliggono il nostro bel Paese.

E che dire dell’uso spropositato delle risorse della Terra? Il 15 maggio scorso, è stato l’overshoot day italiano, cioè il giorno in cui noi italiani terminiamo le risorse del pianeta per il 2022vivremo dunque 7 mesi e mezzo in debito, rubando di fatto il futuro a chi verrà dopo di noi.

Tutelare l’ambiente significa scrivere le migliori regole per garantire la pace nel futuro. Quante guerre potranno scatenarsi per accaparrarsi risorse? Per accaparrarsi cibo, acqua, minerali rari (senza i quali la nostra mirabolante tecnologia non funziona), terre fertili, legname, principi attivi per produrre medicinali e così via.

Spesso ho l’impressione palpabile che è la crisi di chi non vuole cambiare. Torna caro quel concetto che il Papa cita molto spesso: tutto è connesso. È dunque irricevibile in questo momento ogni proposta politica che non sia in grado di capire che il nostro sistema va rivisto radicalmente, che non è buona politica quella che continua a sprecare risorse e costruire attorno a noi un modo di vivere che dipende da quanto siamo abili a prendere le risorse altrui.

Non pensare all’ambiente, non agire per l’ambiente significa  dunque non avere un mondo più inclusivo per tutti. In fondo, è solo dall’azione per contrastare la crisi climatica che passa l’ultimo treno per la giustizia sociale, per un mondo vivibile, per la pace. Un monito e un impegno per ciascuno di noi, credente o non credente.

Papa Francesco e la “Laudato si’”

Lo dice bene la Laudato sì, l’enciclica di papa Francesco, di cui nei prossimi giorni ricorderemo i sette anni della pubblicazione:

Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo? Questa domanda non riguarda solo l’ambiente in modo isolato, perché non si può porre la questione in maniera parziale. Quando ci interroghiamo circa il mondo che vogliamo lasciare ci riferiamo soprattutto al suo orientamento generale, al suo senso, ai suoi valori. Se non pulsa in esse questa domanda di fondo, non credo che le nostre preoccupazioni ecologiche possano ottenere effetti importanti.

Ma se questa domanda viene posta con coraggio, ci conduce inesorabilmente ad altri interrogativi molto diretti: A che scopo passiamo da questo mondo? Per quale fine siamo venuti in questa vita? Per che scopo lavoriamo e lottiamo? Perché questa terra ha bisogno di noi? Pertanto, non basta più dire che dobbiamo preoccuparci per le future generazioni. Occorre rendersi conto che quello che c’è in gioco è la dignità di noi stessi. Siamo noi i primi interessati a trasmettere un pianeta abitabile per l’umanità che verrà dopo di noi. È un dramma per noi stessi, perché ciò chiama in causa il significato del nostro passaggio su questa terra”.

Ricordiamolo, qualche volta, dentro le nostre Chiese.

 

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