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Domenica 28 novembre

Domenica 28 novembre

I domenica del tempo di Avvento

Lc 21,25-28.34-36

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria.
Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».

COMMENTO DI DON CRISTIANO RE, ASSISTENTE SPIRITUALE DELLE ACLI DI BERGAMO

Non è per una semplice ritualità ciclica che la Chiesa ogni anno ci chiede di vivere un tempo di ritorno all’attesa, come non è affatto banale dirci che l’Avvento abbia il sapore dell’attesa. Non smetto di interrogarmi sul tempo e le cose che abbiamo vissuto e che ancora ci chiedono di stare attenti e condizionano parti del nostro vivere. Lo faccio perché non voglio perdere più tempo e vita in ciò che non aggiunge vita alla vita. Non voglio che passino le giornate senza che io rinasca sempre nuovo dentro alle relazioni che custodisco e che mi custodiscono, agli incontri che mi chiedono responsabilità. Non voglio perdere occasione per dire il bene, gustare il bene che è attorno a me e donare il bene, che è il tesoro più grande che ho. È capitato già troppe volte che dovesse arrivare il male, il dolore o la perdita di qualcuno per farmi accorgere di quanto avevo dato per scontato; penso alle persone che ho inesorabilmente perso senza dire loro ciò che avrei voluto dire, senza fare per loro ciò che avrei voluto fare.

Ho, abbiamo tutti quanti, passato giorni e mesi ad attendere che questo tempo di fatica e di dolore passasse e adesso dobbiamo essere molto attenti per non tornare a vivere dentro ad una storia dove “attendere” non è più il nostro modo di vivere il tempo. Lo sento per me, e in tanti me lo confidano, che l’ansia, la bramosia e l’arrogante pretesa del “tutto subito” sono tornate in mille momenti della nostra vita: al lavoro, nelle relazioni, nel nostro rapporto con le cose. Altro che la sapienza dell’attesa. Immaginavo sarebbe stato più facile, dopo “la lezione della pandemia”, il saper misurare e scegliere nell’essenziale il modo di vivere il tempo; ma in realtà se non sto molto vigile, ancora mi lascio esistere nel tempo senza attesa e senza incontri e mi ritrovo vergognosamente alla sera a dover mettere molto impegno a ricordare cosa ho fatto, chi ho visto e, a volte, anche del perché faccio tutto questo.

I giorni da qui al Natale possono essere un tempo nel quale pensare al rischio di trascorrere una vita senza memoria e senza speranza; un tempo per ritornare a mettere nei passaggi più ordinari delle nostre giornate quell’attesa effervescente e desiderosa che è uno dei fantastici volti della Fede.

Facciamo attenzione allora a riconoscere e chiamare per nome ciò che appesantisce i nostri passi; attenzione a riconoscere e a chiamare per nome ciò che distrae il nostro cuore e lo intorpidisce o ciò che offusca la nostra mente; attenzione a riconoscere e chiamare per nome ciò che distoglie da quello di cui abbiamo veramente bisogno. Ed ecco l’invito a non lasciarci cogliere di sorpresa. Vigilanza è la capacità di vedere in profondità il significato vero di quello che succede e delle persone; è la capacità di intuire il nuovo e il possibile che nasce dallo scorrere quotidiano della storia. Chi vigila è capace di esprimere passione per qualcosa, per qualcuno e non solo in quei momenti nei quali sente che “si muove la pancia”. Si appassiona chi è consapevole che la vita è sempre anche oltre ciò che di essa può aver conosciuto o sperimentato; chi riconosce che la vita è fatta di incontri e che questi sono sacramento di Dio. L’uomo sapiente sa cogliere l’oltre di ogni cosa, convinto che nulla è irrilevante nella nostra vita, nulla è insignificante, nulla è banale. Il tempo buono dell’attesa è quello di chi sa scrutare le notti della vita fronteggiando il peggio nella consapevolezza che le cose potrebbero andare diversamente da come ci aspetteremmo. Attendere davvero ci fa dire che è un falso problema dire che non si ha tempo, ma la vera questione è come decidi di vivere il tempo che hai a disposizione. Non è forse tutto questo ciò di cui più necessita questo nostro momento storico?

 

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