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Assemblea dei Circoli della Lombardia – contributo di don Raffaello Ciccone

Assemblea dei Circoli della Lombardia – contributo di don Raffaello Ciccone

Pubblichiamo un piccolo ricordo di Don Raffaello Ciccone, due suoi contributi in occasione dell’Assemblea dei Circoli lombardi di Concesio, nel novembre 2014.

 

Le ACLI e le proposte di Papa Francesco

La vocazione delle ACLI nasce nel 1944. C’è un mondo disperato, in guerra, che spera possa avviarsi verso un dopoguerra di pace.

Tuttavia si teme che ci saranno conflitti nel popolo che cercherà di sopravvivere in una realtà di macerie.

Soprattutto il lavoro dovrà essere ampliato, ma va sempre più riscoperto il significato del lavoro da sviluppare e trasmettere a tutti.

In tal modo la Chiesa sceglie il mondo del lavoro come vocazione missionaria per tutta la comunità cristiana italiana: l’amore di Cristo unisca e faccia fratelli, nella giustizia, il popolo che si è diviso e lacerato.

Così inizialmente le ACLI, da sviluppare in ogni parrocchia, si sono inserite nel sindacato e per i primi anni l’impegno è stato quello della fabbrica.

Dopo gli anni ’50 e le tensioni del sindacato, le ACLI sono passate all’impegno sul territorio e il compito era quella di una presenza viva in un mondo che deve risollevarsi dalla tragedia e dal disordine e che deve migliorare attraverso il proprio impegno, sostenendo, in particolare, le realtà marginali e operando per la convivenza di pace.

Questa operosità è assunta da varie forze che via via si organizzano secondo propri modelli e propri ideali.

Le ACLI scelgono il progetto di una società che ci viene data dai valori e significati sviluppati dai cristiani e ripensati nella Dottrina Sociale della Chiesa (DSC).

In questi sessant’anni circa, il tempo per l’impegno, normalmente collegato con la vita cristiana, almeno, fra le molte difficoltà e gli avvenimenti diversi. In realtà siamo giunti ad una particolare consapevolezza che ci richiede molta energia, molto impegno sul territorio, molta attenzione alle diseguaglianze sociali.

Il discorso di Papa Francesco che incontra i movimenti popolari, in fondo, ha ribadito e sintetizzato le linee fondamentali che sorgono dalla Dottrina sociale della Chiesa e declinano gli elementi basilari dei diritti di ciascuno. Essi  sono  sintetizzati in 3 parole: diritto alla terra, alla casa, al lavoro.

Un incontro del Papa Francesco con i rappresentanti dei movimenti popolari.

In Vaticano è avvenuto un incontro inimmaginabile di Papa Francesco con i movimenti popolari il 28 ottobre, all’interno di 3 giorni: 27-29 ottobre 2014 in cui tali movimenti hanno dibattuto temi fondamentali su terra, casa e lavoro.

Il discorso, che il Papa ha rivolto loro, sviluppa il profilo dei diritti fondamentali delle realtà umane emarginate, su cui i delegati si sono incontrati e apre orizzonti quanto mai attuali, tratti dalla dottrina Sociale della Chiesa che non viene molto spesso ripresa.

Eppure le ACLI possono intravedervi proprio qui una magnifica pista della propria vocazione e lavoro.

Anticipo alcune notizie per aiutare a cogliere il messaggio: cito dalla rivista (Claudia Fanti, Adista n. 38/2014).

C’era già stato un precedente incontro su Emergenza Esclusi promosso in Vaticano il 5 dicembre 2013 dalla Pontificia Accademia delle Scienze, in collaborazione con l’Università Lumsa e il Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, con l’inedita presenza di due rappresentanti dei movimenti sociali, Juan Grabois della Confederazione dei Lavoratori dell’Economia Popolare e João Pedro Stedile del Movimento dei Senza Terra-Via Campesina.

Questo incontro ha suscitato speranze, impegno e rielaborazione.

Da qui l’appuntamento dell’ottobre di quest’anno: 27-29 ottobre. E’ risultato, a maggior ragione,  un impegno assunto, ancor più impegnativo, dal Vaticano e dagli esponenti di vari movimenti, con l’appoggio esplicito del Papa. E’ stato organizzato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e da esponenti di vari movimenti. Siamo profondamente grati a papa Francesco – scrivono nel comunicato di presentazione dell’iniziativa Joao Pedro Stédile, Juan Grabois, Xaro Castelló (Movimento Mondiale dei Lavoratori Cristiani della Spagna) e Jockin Arputham (Slum Dwellers International) – per questa possibilità, una nuova dimostrazione del suo permanente accompagnamento e della sua vicinanza non solo verso chi soffre l’ingiustizia, ma anche nei confronti di quanti si organizzano e lottano per superarla.

Il tema voleva comprendere le cause della moltiplicazione degli esclusi nel mondo, anziché concentrarsi esclusivamente sulle conseguenze. E questo dimostra la concretezza e la volontà coraggiosa nell’affrontare la questione della esclusione. I partecipanti erano circa cento delegati di organizzazioni popolari di ogni parte del mondo, in rappresentanza dei contadini senza terra (campesinos), degli indigeni, dei precari, dei lavoratori del settore informale e dell’economia popolare, dei migranti, di quanti vivono nelle periferie urbane e in insediamenti di fortuna, come pure di quanti lottano al loro fianco, minatori, venditori ambulanti, cartaneros  e di numerosi vescovi dei diversi continenti e della Curia Romana (tra le presenze italiane, alcune delle quali piuttosto sorprendenti, Banca Etica, Associazione Trentini nel Mondo, il Comitato Amig@s Mst-Italia, Genuino Clandestino, la fabbrica recuperata Rimaflow e il Centro Sociale Leoncavallo di Milano).

Finché non si risolveranno radicalmente i proble­mi dei poveri, rinunciando all’autonomia assolu­ta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità,  non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema. L’inequità è la radice dei mali sociali, dice Papa Francesco  nella Evangelii Gaudium (EG 202).

Sono state impegnate  molte energie per radunare persone da tutto il mondo e il card. Turkson  ha motivato questa impresa, ricordando che sono essi ( i partecipanti) i protagonisti della propria vita, non semplici e passivi destinatari della carità o dei progetti altrui.

Fedeli al metodo vedere, giudicare e agire, in questi tre giorni tutti si sono impegnati nell’analisi e nelle prospettive di un lavoro a livello mondiale, affrontando le lacerazioni e le ingiustizie. L’incontro è organizzato per mettere a fuoco, il primo giorno, la realtà di esclusione attraverso le testimonianze dei partecipanti; per discernere, il secondo giorno, sulle questioni di emarginazione sociale alla luce dell’insegnamento di papa Francesco; per individuare infine, il terzo giorno, gli impegni concreti da assumere.

Il metodo, a lungo sperimentato nella Jeunesse Ouvrière Catholique (Joc), fondata nel 1925 dal sacerdote belga Joseph-Léon Cardijn, fu suggerito a Giovanni XXIII insieme a quel ricco e complesso lavoro di preparazione che condusse poi alla elaborazione  della enciclica  Mater et magistra , pubblicata il 15 maggio 1961 (MM 217). Il grande lavoro di formazione e di educazione dei giovani lavoratori fu poi riconosciuto a don Cardijn da Paolo VI, (sensibilissimo al mondo del lavoro). Il 21 febbraio 1965, don Cardijn fu consacrato vescovo. Il giorno dopo, Paolo VI lo nominò cardinale. Morì nel 1967.

La metodologia del vedere-giudicare-agire, già diffusa in America Latina, divenne, a partire dalla seconda Conferenza generale dell’episcopato latino-americano, a Medellín (Colombia) nel 1968, come un marchio registrato in tutte le conferenze episcopali della regione e in molti documenti delle chiese nazionali, soprattutto di quella brasiliana, e ha orientato la riflessione e i piani pastorali varati per una presenza ecclesiale più aggiornata e incisiva.

Abbiamo compiuto un grande sforzo – ha spiegato Grabois – per garantire la presenza di dirigenti di organizzazioni rappresentative dei settori più impoveriti, più colpiti e più perseguitati, settori che vogliono ora parlare con la propria voce. Egli ha espresso il desiderio e la speranza  di una sorta di Assemblea dei movimenti popolari, come quelle tenutesi durante i Forum Sociali Mondiali, ma nell’inconsueta e sorprendente cornice vaticana, allo scopo di individuare  le cause strutturali dell’esclusione e i modi per combatterle, tracciando nuovi cammini di inclusione sociale. E con un obiettivo preciso: quello della creazione di una sorta di coordinamento delle organizzazioni popolari, con il sostegno e la collaborazione della Chiesa.

La riflessione si è svolta attorno a tre grandi tematiche:

Pane (lavoratori dell’economia informale, giovani precari e nuova problematica del mondo del lavoro) che poi, nel discorso del Papa è diventato lavoro;

Terra (contadini, problematica ambientale e sovranità alimentare, agricoltura);

Casa (insediamenti informali, abitazioni precarie e problematica delle periferie urbane).

E se – come ha sottolineato, nel suo discorso di introduzione, Juan Grabois, della Confederazione dei Lavoratori dell’Economia Popolare – a molti dei presenti (per i quali non era scontato neppure uscire dal proprio quartiere, e tanto meno dal proprio Paese o addirittura dal proprio continente) deve risultare quasi surreale fare ingresso in Vaticano, questo – ha affermato – non è che il segno dei venti di cambiamento che non soffiano solo sulla Chiesa, ma su tutto il mondo, portando la voce dei movimenti di quel popolo degli esclusi che chiede ora di essere ascoltato e di diventare artefice della costruzione del proprio destino.

Ed è un auspicio comune a tutti quello a cui vuole rispondere questo incontro dei movimenti popolari: che a nessuno manchi la terra, un lavoro e un tetto sulla propria testa, tre diritti sacri, tre diritti elementari che tuttavia, sempre di più, vengono sottratti a una parte maggioritaria dei nostri popoli, calpestati da un mostro idolatrato come un dio, il dio Denaro, a cui tutto viene sacrificato, compresa la natura e compresa la dignità degli esseri umani.

E’ stato un vescovo congolese, mons. Fridolin Ambongo, il primo a entrare nel cuore della realtà di esclusione, denunciando il passaggio distruttivo del dio Denaro nel continente africano, considerato a livello globale una sorta di riserva di risorse naturali da cui tutti possono attingere, come se non esistessero abitanti, come se si trattasse di una terra di nessuno. E se i regimi politici locali sembrano fare di tutto per alimentare il dilagante afropessimismo, calpestando ogni regola democratica e mettendo a tacere la voce dei popoli, è dal punto di vista economico che meglio si comprende la realtà di esclusione africana: l’economia del continente – ha spiegato – è essenzialmente centrata sullo sfruttamento delle risorse naturali senza valore aggiunto e destinate alle esportazioni. Uno sfruttamento, accompagnato da conflitti e violenze, di cui sono massimamente responsabili le multinazionali, le quali preferiscono però passare attraverso il circuito mafioso degli sfruttatori locali – a cui sono peraltro lasciate appena le briciole -, in un lunga catena simile a una nebulosa su cui diventa difficile far luce. Un quadro reso ancora più grave dai cosiddetti aiuti umanitari, il cui effetto è quello di inondare i mercati africani con riso e mais a un costo assai più basso di quello locale, con la conseguente rovina dell’agricoltura contadina. Vi sono, è vero, ha concluso Ambongo, persone che lottano per la giustizia e la dignità, ma il problema dell’Africa, è che non presenta movimenti popolari organizzati come in altre parti del mondo, ma solo timide iniziative di organizzazione. Per questo la nostra presenza qui può rappresentare una benedizione per il Continente: siamo qui per imparare dagli altri.

La parola agli esclusi, la riflessione dei movimenti popolari su Terra, Pane e Casa, sono importanti le denunce che vengono fatte risuonare, frutto di esperienza  di sofferenza subita:

– l’avanzata senza freni del capitale sulle campagne;

– l’accaparramento della terra, dell’acqua, delle risorse naturali, sempre più concentrate nelle mani di poche transnazionali, le stesse che prima ci fanno ammalare e poi ci vendono i farmaci con cui curarci;

– la mancanza di adeguate politiche agrarie da parte dei governi, i quali, al contrario, costruiscono ponti d’oro alle grandi imprese;

– il disprezzo nei confronti delle conoscenze e delle culture contadine, delle millenarie prassi di cura e di scambio delle sementi;

– il ruolo di una scienza al servizio del capitale, disposta persino a mettere a repentaglio la vita, attraverso per esempio l’imposizione delle colture transgeniche.

Ci troviamo di fronte – è stato detto – a un processo di massiccia distruzione della vita, a una strategia diretta non più ad alimentare l’umanità, ma ad aumentare i profitti. Ma noi continuiamo a resistere, a difendere la nostra funzione sociale, che è quella di alimentare i nostri popoli; a custodire il sogno di continuare ad essere contadini e contadine al servizio del buen vivir. Ed è in questo che consiste il paradigma della sovranità alimentare, il diritto dei popoli, cioè, a decidere in materia di agricoltura e di alimentazione, puntando sulla produzione locale per il mercato locale, la produzione sostenibile di alimenti su piccola scala che, sola, permetterebbe di rigenerare i suoli, di risparmiare combustibile e di ridurre il riscaldamento globale, dando lavoro a milioni di agricoltori, pescatori e piccoli allevatori. La sovranità alimentare, ha affermato la rappresentante di Via Campesina, è principio di vita, diritto alla terra, all’acqua, alle sementi, alle nostre conoscenze, alle nostre forme culturali di produzione. Perché, ha concluso, non possiamo più accettare che anche una sola persona in questo mondo soffra la fame.

Del resto, come ha sottolineato, il contadino indiano Kommara Thimmarayagowda Gangadhar della Krrs (Karnataka State Farmers Union), l’Agricoltura non è solo un’attività economica, ma una cultura del mondo, non offre solo la sicurezza del lavoro, ma preserva la salute umana, e protegge la natura per l’umanità presente e per quella futura. La mia responsabilità come cittadino globale – ha concluso – è custodire la terra per le generazioni future.

E a prendersi cura dell’ambiente sono anche i raccoglitori e riciclatori dei rifiuti (Quanti sopravvivono con i rifiuti dell’umanità, come ha evidenziato mons. Luis Infanti, vescovo di Haysén, nella Patagonia cilena), sulla cui lotta per l’inclusione sociale si è soffermato Sergio Sanchez, della Federazione argentina dei cartoneros e dei riciclatori: una lotta comune ai venditori ambulanti, ai lavoratori delle fabbriche recuperate e in fondo a tutta la classe lavoratrice e a tutta l’umanità, perché tutti – ha detto – chiediamo le stesse cose: terra, casa, lavoro.

In questo quadro non sono mancate sollecitazioni alla Chiesa, quella Chiesa che, come ha affermato il mozambicano Agostinho Bento dell’Unione nazionale dei contadini del Mozambico, ha taciuto sui programmi della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, e che non si è opposta come avrebbe dovuto allo sfruttamento da parte delle multinazionali. Quella Chiesa che egli ha invitato ad agire concretamente a favore del popolo spogliato delle sue risorse.

E non ha risparmiato critiche all’istituzione ecclesiastica neanche Jockin Arputham, leader di Slum Dwellers International, il quale vive in uno slum di Mumbai, lottando contro gli sgomberi delle comunità. La Chiesa parlava di giustizia sociale, ma quando sono arrivati gli sgomberi, in India come in Kenya e in Cambogia, non ha fatto nulla, per non ‘mischiarsi con la politica’, ha denunciato Arputham, ringraziando tuttavia il Papa per aver invitato in Vaticano, finalmente, i rappresentanti, e soprattutto le rappresentanti, delle persone che lottano e che spesso pagano questa lotta con la vita. Una lotta che può essere a volte anche semplicemente per ottenere dei bagni, di fronte al dramma che può rappresentare il fatto di avere una toilette per 800 persone in una baraccopoli di 500mila abitanti. Il mondo non cambia – ha concluso – se i poveri non si organizzano unendo le loro forze e dicendo basta con le elemosine. Come ci hanno insegnato gli antenati, se si lotta si otterrà latte e miele, se non si lotta non si conquisterà un bel niente.

Non si può tuttavia parlare di Terra, di Pane e di Casa, senza affrontare il nodo dell’emergenza ambientale e climatica, un problema che – come ha sottolineato l’esperto di cambiamenti climatici Veerabhadran Ramanathan – si trasformerà ben presto in un disastro. Se in appena 30-40 anni abbiamo cambiato il clima più che negli ultimi 2 milioni di anni, non è tuttavia troppo tardi, si è detto convinto Ramanathan, per risolvere il problema: occorre però operare profondi cambiamenti nel nostro atteggiamento nei confronti della natura e nei confronti gli uni degli altri, in una mobilitazione che non può fare a meno dell’aiuto dei leader religiosi. E’ un problema, peraltro, che chiama fortemente in causa la giustizia, dal momento che, ha evidenziato, i tre miliardi di poveri che contribuiscono alle emissioni di gas ad effetto serra per meno del 5% sono anche quelli che pagheranno maggiormente le conseguenze del riscaldamento globale.

E a indicare i veri colpevoli ci ha pensato Silvia Ribeiro dell’Etc Group, ricordando come l’1% più ricco dell’umanità  controlli quasi il 50% della ricchezza globale e come al 70% della popolazione mondiale resti meno del 3% delle ricchezze. Ma è la stessa classifica dei Paesi  responsabili del più alto livello di emissioni climalteranti a chiarire la situazione: se per quantità di emissioni la Cina, con il 23%, batte gli Stati Uniti, responsabili del 15,5%, a livello pro-capite gli Usa non hanno concorrenti (17 tonnellate contro le 5,4 della Cina).

Per non parlare delle responsabilità storiche, che vedono gli Stati Uniti dominare la classifica degli inquinatori a tal punto che le loro emissioni, da sole, superano quelle dei cinque Paesi che seguono (Unione Europea, Cina, Russia, Giappone e Canada). E colpevole è anche il sistema agroindustriale, responsabile dal 44 al 57% delle emissioni di gas ad effetto serra, a cui è chiamata sempre più ad opporsi quell’agricoltura contadina a cui già spetta il merito di alimentare il 70% della popolazione mondiale.

Gli esperti chiamano Antropocene l’attuale fase planetaria, per sottolineare l’impatto dell’umanità sulla vita della Terra. Non sono d’accordo: quella attuale – ha concluso Silvia Ribeiro – è l’era della plutocrazia, quella in cui 85 miliardari, da soli, consumano risorse quanto la metà della popolazione mondiale.

 

Alcuni brani del discorso di Papa Francesco il 28 ottobre 2014

Questo nostro incontro non risponde a un’ideologia. Voi non lavorate con idee, lavorate con realtà come quelle che ho menzionato e molte altre che mi avete raccontato. Avete i piedi nel fango e le mani nella carne. Odorate di quartiere, di popolo, di lotta! Vogliamo che si ascolti la vostra voce che, in generale, si ascolta poco. Forse perché disturba, forse perché il vostro grido infastidisce, forse perché si ha paura del cambiamento che voi esigete, ma senza la vostra presenza, senza andare realmente nelle periferie, le buone proposte e i progetti che spesso ascoltiamo nelle conferenze internazionali restano nel regno dell’idea, è un mio progetto.

Non si può affrontare lo scandalo della povertà promuovendo strategie di contenimento che unicamente tranquillizzano e trasformano i poveri in esseri addomesticati e inoffensivi. Che triste vedere che, dietro a presunte opere altruistiche, si riduce l’altro alla passività, lo si nega o, peggio ancora, si nascondono affari e ambizioni personali: Gesù le definirebbe ipocrite. Che bello invece quando vediamo in movimento popoli e soprattutto i loro membri più poveri e i giovani. Allora sì, si sente il vento di promessa che ravviva la speranza di un mondo migliore. Che questo vento si trasformi in uragano di speranza. Questo è il mio desiderio.

Questo nostro incontro risponde a un anelito molto concreto, qualcosa che qualsiasi padre, qualsiasi madre, vuole per i propri figli; un anelito che dovrebbe essere alla portata di tutti, ma che oggi vediamo con tristezza sempre più lontano dalla maggioranza della gente: terra, casa e lavoro. È strano, ma se parlo di questo per alcuni il Papa è comunista. Non si comprende che l’amore per i poveri è al centro del Vangelo. Terra, casa e lavoro, quello per cui voi lottate, sono diritti sacri. Esigere ciò non è affatto strano, è la dottrina sociale della Chiesa. grido infastidisce, forse perché si ha paura del cambiamento che voi esigete, ma senza la vostra presenza, senza andare realmente nelle periferie, le buone proposte e i progetti che spesso ascoltiamo nelle conferenze internazionali restano nel regno dell’idea, è un mio progetto.

Questo nostro incontro risponde a un anelito molto concreto: terra, casa e lavoro.

 

Terra. All’inizio della creazione, Dio creò l’uomo custode della sua opera, affidandogli l’incarico di coltivarla e di proteggerla. Vedo che qui ci sono decine di contadini e di contadine e voglio felicitarmi con loro perché custodiscono la terra, la coltivano e lo fanno in comunità. Mi preoccupa lo sradicamento di tanti fratelli contadini che soffrono per questo motivo e non per guerre o disastri naturali. L’accaparramento di terre, la deforestazione, l’appropriazione dell’acqua, i pesticidi inadeguati, sono alcuni dei mali che strappano l’uomo dalla sua terra natale. Questa dolorosa separazione non è solo fisica ma anche esistenziale e spirituale, perché esiste una relazione con la terra che sta mettendo la comunità rurale e il suo peculiare stile di vita in palese decadenza e addirittura a rischio di estinzione.

L’altra dimensione del processo già globale è la fame. Quando la speculazione finanziaria condiziona il prezzo degli alimenti trattandoli come una merce qualsiasi, milioni di persone soffrono e muoiono di fame. Dall’altra parte si scartano tonnellate di alimenti. Ciò costituisce un vero scandalo. La fame è criminale, l’alimentazione è un diritto inalienabile. So che alcuni di voi chiedono una riforma agraria per risolvere alcuni di questi problemi e, lasciatemi dire che in certi paesi, e qui cito il compendio della Dottrina sociale della Chiesa, “la riforma agraria diventa pertanto, oltre che una necessità politica, un obbligo morale” (CDSC, 300).

 

Casa. L’ho già detto e lo ripeto: una casa per ogni famiglia. Non bisogna mai dimenticare che Gesù nacque in una stalla perché negli alloggi non c’era posto, che la sua famiglia dovette abbandonare la propria casa e fuggire in Egitto, perseguitata da Erode. Oggi ci sono tante famiglie senza casa, o perché non l’hanno mai avuta o perché l’hanno persa per diversi motivi. Famiglia e casa vanno di pari passo! Ma un tetto, perché sia una casa, deve anche avere una dimensione comunitaria:

– Il quartiere. E’ proprio nel quartiere che s’inizia a costruire questa grande famiglia dell’umanità, a partire da ciò che è più immediato, dalla convivenza col vicinato. Oggi viviamo in immense città che si mostrano moderne, orgogliose e addirittura vanitose.

– Eufemismi. Città che offrono innumerevoli piaceri e benessere per una minoranza felice ma si nega una casa a migliaia di nostri vicini e fratelli, persino bambini, e li si chiama, elegantemente, “persone senza fissa dimora”. È curioso come nel mondo delle ingiustizie abbondino gli eufemismi.

Continuiamo a lavorare affinché tutte le famiglie abbiano una casa e affinché tutti i quartieri abbiano un’infrastruttura adeguata (fognature, luce, gas, asfalto, e continuo: scuole, ospedali, pronto soccorso, circoli sportivi e tutte le cose che creano vincoli e uniscono, accesso alla salute — l’ho già detto — all’educazione e alla sicurezza della proprietà.
Lavoro. Non esiste peggiore povertà materiale — mi preme sottolinearlo — di quella che non permette di guadagnarsi il pane e priva della dignità del lavoro. La disoccupazione giovanile, l’informalità e la mancanza di diritti lavorativi non sono inevitabili, sono il risultato di una previa opzione sociale, di un sistema economico che mette i benefici al di sopra dell’uomo, …cultura dello scarto che considera l’essere umano di per sé come un bene di consumo, che si può usare e poi buttare.

 

Capitalismo.
Al centro di un sistema economico c’è il dio denaro e non l’uomo,.., al centro di ogni sistema sociale o economico deve esserci la persona, immagine di Dio, creata perché fosse il denominatore dell’universo. Quando la persona viene spostata e arriva il dio denaro si produce questo sconvolgimento di valori.

Oggi si scartano i bambini perché il tasso di natalità in molti paesi della terra è diminuito o si scartano i bambini per mancanza di cibo o perché vengono uccisi prima di nascere; scarto di bambini.

Si scartano gli anziani perché non servono, non producono; né bambini né anziani producono, allora con sistemi più o meno sofisticati si scartano.

Lo scarto dei giovani. Milioni di giovani — non dico la cifra perché non la conosco esattamente e quella che ho letto mi sembra un po’ esagerata — milioni di giovani sono scartati dal lavoro, disoccupati.

Nei paesi europei, e queste sì sono statistiche molto chiare, qui in Italia, i giovani disoccupati sono un po’ più del quaranta per cento; sapete cosa significa quaranta per cento di giovani, un’intera generazione, annullare un’intera generazione per mantenere l’equilibrio. In un altro paese europeo sta superando il cinquanta per cento, e in quello stesso paese del cinquanta per cento, nel sud è il sessanta per cento. Sono cifre chiare, ossia dello scarto. Scarto di bambini, scarto di anziani, che non producono, e dobbiamo sacrificare una generazione di giovani, scarto di giovani, per poter mantenere e riequilibrare un sistema nel quale al centro c’è il dio denaro e non la persona umana.

Già ora, ogni lavoratore, faccia parte o meno del sistema formale del lavoro stipendiato, ha diritto a una remunerazione degna, alla sicurezza sociale e a una copertura pensionistica. Qui ci sono cartoneros, riciclatori, venditori ambulanti, sarti, artigiani, pescatori, contadini, muratori, minatori, operai di imprese recuperate, membri di cooperative di ogni tipo e persone che svolgono mestieri più comuni, che sono esclusi dai diritti dei lavoratori, ai quali viene negata la possibilità di avere un sindacato, che non hanno un’entrata adeguata e stabile. Oggi voglio unire la mia voce alla loro e accompagnarli nella lotta.

In questo incontro avete parlato anche di Pace ed Ecologia. È logico: non ci può essere terra, non ci può essere casa, non ci può essere lavoro se non abbiamo pace e se distruggiamo il pianeta. Sono temi così importanti che i popoli e le loro organizzazioni di base non possono non affrontare. Non possono restare solo nelle mani dei dirigenti politici. Tutti i popoli della terra, tutti gli uomini e le donne di buona volontà, tutti dobbiamo alzare la voce in difesa di questi due preziosi doni: la Pace e la Natura.

Poco fa ho detto, e lo ripeto, che stiamo vivendo la terza guerra mondiale, ma a pezzi. Ci sono sistemi economici che per sopravvivere devono fare la guerra. Allora si fabbricano e si vendono armi e così i bilanci delle economie che sacrificano l’uomo ai piedi dell’idolo del denaro ovviamente vengono sanati. E non si pensa ai bambini affamati nei campi profughi, non si pensa ai dislocamenti forzati, non si pensa alle case distrutte, non si pensa neppure a tante vite spezzate. Quanta sofferenza, quanta distruzione, quanto dolore! Oggi, care sorelle e cari fratelli, si leva in ogni parte della terra, in ogni popolo, in ogni cuore e nei movimenti popolari, il grido della pace: Mai più la guerra!
Un sistema economico incentrato sul dio denaro ha anche bisogno di saccheggiare la natura, saccheggiare la natura per sostenere il ritmo frenetico di consumo che gli è proprio. Il cambiamento climatico, la perdita della biodiversità, la deforestazione stanno già mostrando i loro effetti devastanti nelle grandi catastrofi a cui assistiamo, e a soffrire di più siete voi, gli umili, voi che vivete vicino alle coste in abitazioni precarie o che siete tanto vulnerabili economicamente da perdere tutto di fronte a un disastro naturale. Fratelli e sorelle: il creato non è una proprietà di cui possiamo disporre a nostro piacere; e ancor meno è una proprietà solo di alcuni, di pochi. Il creato è un dono, è un regalo, un dono meraviglioso che Dio ci ha dato perché ce ne prendiamo cura e lo utilizziamo a beneficio di tutti, sempre con rispetto e gratitudine. Forse sapete che sto preparando un’enciclica sull’Ecologia: siate certi che le vostre preoccupazioni saranno presenti in essa. Ringrazio, approfitto per ringraziare per la lettera che mi hanno fatto pervenire i membri della Vía Campesina, la Federazione dei Cartoneros e tanti altri fratelli a riguardo.

Parliamo di terra, di lavoro, di casa. Parliamo di lavorare per la pace e di prendersi cura della natura. Ma perché allora ci abituiamo a vedere come si distrugge il lavoro dignitoso?

 Si è globalizzata l’indifferenza: cosa importa a me di quello che succede agli altri finché difendo ciò che è mio? Perché il mondo si è dimenticato di Dio, che è Padre; è diventato orfano perché ha accantonato Dio.

 Alcuni di voi hanno detto: questo sistema non si sopporta più. Dobbiamo cambiarlo, dobbiamo rimettere la dignità umana al centro e su quel pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno.

Va fatto con coraggio, ma anche con intelligenza. Con tenacia, ma senza fanatismo. Con passione, ma senza violenza. E tutti insieme, affrontando i conflitti senza rimanervi intrappolati, cercando sempre di risolvere le tensioni per raggiungere un livello superiore di unità, di pace e di giustizia. Noi cristiani abbiamo qualcosa di molto bello, una linea di azione, un programma, potremmo dire, rivoluzionario.

So che tra di voi ci sono persone di diverse religioni, mestieri, idee, culture, paesi e continenti. Oggi state praticando qui la cultura dell’incontro, così diversa dalla xenofobia, dalla discriminazione e dall’intolleranza che tanto spesso vediamo. Tra gli esclusi si produce questo incontro di culture dove l’insieme non annulla la particolarità. Perciò a me piace l’immagine del poliedro, una figura geometrica con molte facce diverse. Il poliedro riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso conservano l’originalità. Nulla si dissolve, nulla si distrugge, nulla si domina, tutto si integra. Oggi state anche cercando la sintesi tra il locale e il globale. So che lavorate ogni giorno in cose vicine, concrete, nel vostro territorio, nel vostro quartiere, nel vostro posto di lavoro: vi invito anche a continuare a cercare questa prospettiva più ampia; che i vostri sogni volino alto e abbraccino il tutto!

Questi movimenti, queste esperienze di solidarietà che crescono dal basso, dal sottosuolo del pianeta, confluiscano, siano più coordinati, s’incontrino, come avete fatto voi in questi giorni.

 Attenzione, non è mai un bene racchiudere il movimento in strutture rigide, perciò ho detto incontrarsi, e lo è ancor meno cercare di assorbirlo, di dirigerlo o di dominarlo; “camminare insieme”:

I movimenti popolari esprimono la necessità urgente di rivitalizzare le nostre democrazie, tante volte dirottate da innumerevoli fattori.

È impossibile immaginare un futuro per la società senza la partecipazione come protagoniste delle grandi maggioranze.

La prospettiva di un mondo di pace e di giustizia durature ci chiede di superare l’assistenzialismo paternalista, esige da noi che creiamo nuove forme di partecipazione che includano i movimenti popolari e animino le strutture di governo locali, nazionali e internazionali con quel torrente di energia morale che nasce dal coinvolgimento degli esclusi nella costruzione del destino comune. E ciò con animo costruttivo, senza risentimento, con amore.

Diciamo insieme dal cuore: nessuna famiglia senza casa, nessun contadino senza terra, nessun lavoratore senza diritti, nessuna persona senza la dignità che dà il lavoro.

 

 

Sussidio per la preghiera – Le Acli e i Circoli

 

A. Impegno verso il mondo

B. impegno di sensibilità nella Comunità cristiana

Nella storia:

1. Vocazione cristiana nelle fabbriche

2. Presenza sul territorio per una responsabilità sociale cristiana:  impegno formativo e sviluppo dei “servizi”

3. Progetto di ricerca e di impegno sui diritti fondamentali di tutto il popolo

 

Nella Scrittura:

Genesi 1, 26 e seguenti

Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra».

 

Genesi 2, 8 e seguenti

Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male. Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse.  Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire». E il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda. Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne.

 

Salmo 127 (126)  

Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori.

Se il Signore non vigila sulla città, invano veglia la sentinella.

  1. Rafforza per noi l’opera delle nostre mani, l’opera delle nostre mani rafforza.(salmo 90)

 

Invano vi alzate di buon mattino, e tardi andate a riposare,

voi che mangiate un pane di fatica: al suo prediletto egli lo darà nel sonno.

  1. Rafforza per noi l’opera delle nostre mani, l’opera delle nostre mani rafforza.(salmo 90)

 

Ecco, eredità del Signore sono i figli,

è sua ricompensa il frutto del grembo.

  1. Rafforza per noi l’opera delle nostre mani, l’opera delle nostre mani rafforza.(salmo 90)

 

Come frecce in mano a un guerriero

sono i figli avuti in giovinezza.

  1. Rafforza per noi l’opera delle nostre mani, l’opera delle nostre mani rafforza.(salmo 90)

 

Beato l’uomo che ne ha piena la faretra:

non dovrà vergognarsi quando verrà alla porta a  trattare con i propri nemici.

  1. Rafforza per noi l’opera delle nostre mani, l’opera delle nostre mani rafforza.(salmo 90)

 

Preghiera

Dio onnipotente e provvido, che hai affidato all’uomo la terra perché ne fosse il custode saggio e il solerte operatore a gloria del tuo nome e a servizio dell’umanità presente e futura, svela ai tuoi figli la sapiente armonia che presiede e governa l’universo e dona loro di rispettarla religiosamente, trasformando la creazione con lavoro illuminato e fecondo. Per Gesù Cristo, tuo Figlio, nostro Signore e nostro Dio che ha lavorato con noi e conosce la fatica e la gioia di un lavoro ben fatto, aiutaci a trovare soluzioni di lavoro per tutti.

 

Preghiera per il tempo di disoccupazione

Signore,

ci hai chiamato alla vita per la bellezza

e l’amore di una esistenza serena.

Tutti siamo figli che vivono il tuo dono.

Con il lavoro ci hai eletti costruttori del mondo,

capaci di scoprire tutte le cose come regali di nozze.

Così noi trasformiamo il mondo.

Vogliamo offrire a tutti dignità e vita piena,

rendendolo utile a tutti,

vogliamo sostenere la speranza,

combattendo la miseria di ogni uomo e donna,

vogliamo mantenere con le mani e l’intelligenza

il coraggio di edificare la pace.

 

Ora viene a mancare, per molti di noi,

la possibilità di lavorare.

Scopriamo di essere inutili,

ci impauriamo del futuro,

non facciamo progetti di speranza,

il vicino e lo straniero diventano nemici.

Non siamo capaci di sperare,

ci vergogniamo della nostra inattività

come se fossimo pigri e ignoranti.

 

Signore, chi educa i figli all’impegno?

Chi può incoraggiare ad aiutare?

Chi può garantire che la vita offre, a chi lotta,

la soddisfazione di vincersi e di essere utili?

 

Signore, anche tu sai bene l’importanza del pane.

Nelle sette domande al “Padre nostro”,

hai posto la richiesta del pane di ogni giorno,

nel mezzo delle nostre attese,

dopo le 3 esigenze del Regno

e prima delle 3 richieste di pace.

 

Per il pane c’è, all’inizio, il lavoro,

e dopo, insieme al pane, chiediamo

la salute, la fiducia, l’amore di famiglia,

la libertà, la capacità di vivere in pienezza il tempo.

 

Signore, aiutaci a saper lavorare con amore,

aiutaci a saper trovare lavoro per chi non ne ha,

aiutaci ad avere stili di vita per condividere ciò che abbiamo,

aiutaci a considerare il lavoro importante,

ma fa che non ci soffochi perché ne siamo diventati ingordi.

Aiutaci a lavorare come lavoravi tu,

con amore verso il tuo vicino,

con responsabilità per quello che facevi,

con libertà di cuore,

sostenendo e camminando insieme

con chi è disoccupato, o precario, o inabile,

o giovane di età e vecchio di carriera.

 

Sappiamo che il Padre era con te ogni giorno.

Sappiamo che lo è anche con noi.

 

 

 

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